IL CACCIATORE |
di |
GIANLUCA MARCHESELLI |
|
2° classificato al Concorso "Comune di Courmayeur" edizione 1999 - sezione Fantasy Premiato con la seguente motivazione: "Per la classica e solida ricostruzione di un verosimile mondo di "sword and sorcery" e delle sue consorterie segrete con un linguaggio sobrio e un ritmo incalzante che avvolgono il lettore ." |
|
Jerome Bartis, sovrano da poco più
di due anni del regno di Korell, non si poteva certo definire né un uomo
paziente né un abile diplomatico. Per quasi tutta la vita era stato un generale
della cavalleria korelliana, ed in molte occasioni rimpiangeva la sua
precedente posizione. Questa, si rese subito conto, sarebbe stata una di quelle
occasioni.
Gli bastò infatti una semplice
occhiata per capire che Rowin, l’arcimago che da oltre dieci anni era a capo
della Corporazione dei maghi dei nove regni, non gli andava a genio. Alto quasi
due metri ma incredibilmente magro, dotato di spalle larghissime e braccia
ancor più lunghe di quanto sarebbe stato naturale per un uomo della sua
altezza, Rowin sembrava sfidare le leggi della fisica, così come il piccolo
rubino che portava al lobo dell’orecchio sinistro costituiva un’aperta sfida
alle convenzioni sociali.
Ma non erano questi dettagli, o
perlomeno non solo questi, e nemmeno la folta barba nera che gli arrivava fin
quasi sul petto o i lunghi, anche se ormai diradati, capelli corvini che
cadevano untuosi sulle spalle, a fare dell’arcimago un uomo odioso a prima
vista, quanto piuttosto l’arroganza e l’intransigenza che trasparivano da ogni
suo gesto.
Questo, pensò Jerome, è un uomo con
cui è inutile discutere. E la consapevolezza dell’inutilità di tutto ciò gli
pesava non poco. Gli sarebbe piaciuto negare al mago l’udienza che aveva
richiesto, oppure, adesso che era al suo cospetto, farlo rinchiudere nella più
buia e profonda cella del suo castello. Ma quelli erano purtroppo sogni
irrealizzabili. Rowin, pur senza un regno alle spalle, era probabilmente l’uomo
più potente di tutti e nove i regni e quando chiedeva udienza non si poteva far
altro che concedergliela.
- Maestà - esordì subito l’arcimago
- è un piacere finalmente poterVi conoscere.
- Il piacere è mio Arcimago. Ma Vi
prego, accomodateVi - replicò quindi Jerome indicandogli la poltrona davanti
alla sua scrivania e sedendosi a sua volta.
- Volete del vino o qualche
pasticcino ? - gli chiese quindi.
- Un’altra volta, forse, Sire;
questa, come avrete già intuito, non è una visita di cortesia. Ci sono problemi
...
Ah Diavolo!, sbottò tra sé Jerome,
che senso ha cercare di usare le armi della diplomazia con una persona del genere
?
- Ci sono problemi di cui dobbiamo
discutere. - lo interruppe quindi bruscamente - O meglio, c’è un grosso
problema di cui Voi volete discutere con me. E lasciatemi indovinare, il Vostro
problema ha forse a che fare con la mozione che intendo presentare al Consiglio
dei nove la settimana prossima ?
- Naturalmente, Sire. - replicò
l’arcimago con un sorriso malevolo che gli si dipingeva sul volto - Di Voi
avevo sentito dire che siete un ottimo generale ed un valoroso guerriero, ma
queste voci non Vi rendono giustizia, solo ora mi rendo conto che siete anche
un lucidissimo pensatore e forse possedete anche il dono della profezia.
Jerome si alzò in piedi di scatto
dinanzi a quell’offensiva presa in giro. Aveva sfidato a duello persone per
molto meno e, per un interminabile istante, fu tentato di farlo anche con
quell’odioso spaventapasseri che aveva davanti. Appellandosi alla poca pazienza
di cui lo aveva fornito la natura riuscì infine a ritrovare il controllo ed a
riprendere a parlare,
seppur con una voce ancora carica di ostilità.
- D’accordo, allora, parlate: cosa
avete da dire in merito alla mia proposta ? Prima che mi rispondiate Vi devo
però avvertire che, come forse avrete già notato, la pazienza non è una virtù
che possa annoverare tra quelle che possiedo; quindi niente giochi di parole,
insulti o prese in giro, chiaro ? -
- Certo, Maestà - replicò
imperturbabile l’Arcimago - Verrò dunque subito al punto; la proposta che
intendete portare davanti al Consiglio dei nove, scusate la franchezza, è una
vera idiozia. L’unità della Corporazione dei maghi è un fattore imprescindibile
per la pace ed il benessere di tutti e nove i regni, anzi si può ben dire che
assieme alla nostra fede ed al Consiglio annuale dei nove sia l’elemento
fondamentale di coesione per i nostri regni. Mi rendo conto Maestà che per Voi
la politica e l’arte del governo sono delle novità, ma non potete non vedere le
catastrofiche conseguenze che saranno provocate dalla Vostra proposta se verrà
accolta. Pensate solo alle possibili conseguenze dal punto di vista militare.
Se ogni regno potrà disporre di una propria Gilda di maghi, autonoma ed
indipendente dalle altre, questo vorrà dire che ogni sovrano avrà a propria
disposizione un esercito di maghi guerrieri. Finora questi non hanno mai
partecipato alle battaglie interne ai nove regni, ma potete garantire, dopo la
Vostra riforma, che ciò potrà valere anche per il futuro? Forse Vi siete
dimenticato la potenza distruttiva che possono avere i maghi guerrieri ?
- E provate a riflettere - riprese
dopo un attimo di silenzio - su tutti gli altri aspetti della vicenda. Oggi, se
c’è una carestia in una regione, la Gilda mobilita tutti i
maghi della Terra in quella zona e così risolve il problema. E pensate alla
tremenda pestilenza che quattro anni fa ha colpito il Vostro regno, uccidendo,
purtroppo, sia il Re che l’erede. In quell’occasione la Gilda concentrò in
Korell quasi quattrocento guaritori, ordinando loro di muoversi dagli altri
regni. Pensate a tutto questo Maestà e ditemi: siete convinto che questo tipo
di collaborazione potrà continuare ad esistere una volta che la guida
imparziale della nostra Gilda non esisterà più e la gestione dei maghi verrà ad
essere influenzata dai giochi di potere, dalle rivalità e dalle meschinità proprie dell’arte della politica estera ?
- Bel discorso Arcimago. - rispose,
dopo alcuni attimi di silenzio, Jerome - Forse, se posso permettermi una
critica, un po' banale. Ma nel complesso, davvero un bel discorso. Peccato che
abbiate tralasciato un aspetto per nulla marginale della vicenda: il potere. La
Vostra Gilda nel corso dei secoli è diventata sempre più importante nella vita
quotidiana dei nove regni, e così è cresciuto il Vostro potere. Si potrebbe
dire che in maniera abile, ma alquanto subdola, la Vostra Corporazione abbia
conquistato tutti e nove i regni senza doversi mai impegnare in una battaglia,
senza doversi mai sporcare le mani. Avete detto che la Corporazione impedisce
ai maghi guerrieri di partecipare alle guerre interne ai nove regni. Vero. Ma
solo fino ad un certo punto. Mi risulta che, nei soli undici anni in cui siete
stato al comando della Gilda, per ben tre volte abbiate minacciato l’intervento
dei maghi guerrieri se fosse scoppiata una guerra. E sarà un caso, ma in tutte
e tre le circostanze a trarne vantaggio è stato il sovrano di Ferralt che, se
non sbaglio, è Vostro zio. E per quanto riguarda il resto, beh, sicuramente
qualche rischio
c’è, ma con il pericolo degli elfi al nord e dei predoni Marzin nei deserti del
sud, siamo tutti consapevoli di non poterci permettere delle vere guerre
intestine. Se qualcuno dei nove regni si indebolisce alla lunga a pagarne il
prezzo saranno tutti e nove i regni. E se in alcune occasioni marginali sarà
l’egoismo a prevalere, pazienza. In fin dei conti questo è già successo in
passato, anche con la Vostra Gilda unita, e talvolta proprio a causa sua.
- Voi siete un sognatore, Maestà -
replicò Rowin con la voce tremante per la rabbia - ma, se pensate che la Gilda
accetterà una simile imposizione da parte del Vostro Consiglio, siete anche un
pazzo. Tutti i maghi, dal più umile degli apprendisti al più potente arcimago,
perfino i Vostri quattro nipoti, si schiereranno contro di Voi. Di questo
potete esserne sicuro.
A quelle parole Jerome non poté
trattenere una fragorosa risata.
- Suvvia, Arcimago, nemmeno Voi
credete a quello che avete appena detto, altrimenti non vi sareste mai
abbassato a questo inutile colloquio. In realtà sapete bene che la mia proposta
non è per nulla invisa alla maggior parte dei maghi, sia a quelli di più umile
origine, da sempre maggiormente legati alla loro terra d’origine ed ai
rispettivi sovrani che non alla Gilda, sia a molti degli Arcimaghi, che, da un
lato, non apprezzano il Vostro modo di gestire la Corporazione e, dall’altro,
sperano con nove gilde autonome di veder crescere il loro potere ed il loro
prestigio personale. Quindi mio caro Rowin, io presenterò la proposta al
Consiglio, il Consiglio l’approverà ed i Vostri maghi l’accetteranno di buon
grado, senza che Voi possiate far nulla per impedirlo.
- Questo è tutto da vedere Maestà -
replicò freddamente il mago alzandosi - Come ho detto prima Voi siete un pazzo
ed i pazzi al potere sono notoriamente pericolosi e quindi vanno fermati. In un
modo o ...
- Mi state forse minacciando ? -
tuonò Jerome alzandosi di scatto.
- Direi proprio di si, Maestà -
rispose tranquillamente Rowin mentre il suo corpo iniziava lentamente a
dissolversi per sparire completamente nell’arco di pochi istanti.
Pochi minuti dopo, Jerome convocò
nel suo studio suo fratello Brion con la moglie Megam, una maga della Terra, ed
i loro quattro figli, Nigel ed Ysabeau, gemelli ed entrambi maghi-guaritori,
Michaela, una maga-guerriera, e Stefan, il più giovane, che aveva il talento
della negromanzia.
- Allora, com’è andata ? - gli
chiese subito Brion dopo che tutti furono entrati.
- Male - sbottò Jerome - quel
dannato figlio di puttana è arrivato addirittura a minacciarmi.
- Cosa ? - domandarono in coro
Megam ed Ysabeau.
- Oh, niente di cui preoccuparsi.
Però è certo che cercherà di darci dei problemi nei prossimi giorni. Non vorrei
che con le minaccie riuscisse a convincere qualcuno dei nostri alleati ... in
fin dei conti possiamo contare su una maggioranza di soli cinque contro
quattro.
- Per questo non mi preoccuperai
più di tanto - gli replicò Brion - Se Rowin ha cercato di convincere te e non
qualcun altro è perché, tra i sovrani favorevoli alla proposta, sei l’unico a
non avere un conto aperto con lui. No, gli altri non cambieranno bandiera.
Quelle che invece mi preoccupano
sono le minacce dell’Arcimago. Non è uomo che minacci a vuoto e dispone di
enormi poteri.
- E cosa potrebbe fare ? - gli
chiese Jerome.
- Non lo so, ed è questo a
spaventarmi.
La negromanzia era, fra le arti
magiche, quella maggiormente osteggiata dalla gente e dalla Chiesa. Molti
negromanti avrebbero preferito nascere senza quel particolare dono, e Stefan
era uno di loro. Odiava tutti gli aspetti in cui si manifestava il suo talento,
ma soprattutto odiava il modo in cui gli spiriti dei defunti si intrufolavano
nella sua mente, nelle ore notturne, per consegnargli dei messaggi. Talvolta,
riusciva perfino a percepire, prima di addormentarsi, l’imminente arrivo di un
visitatore. E questa era una di quelle occasioni. Più volte aveva provato a
restare sveglio per tutta la notte, in modo da poter evitare l’incontro, ma
purtroppo non funzionava. Quando un messaggero aveva qualcosa da dirgli
riusciva sempre a farlo addormentare.
Fu con animo rassegnato quindi,
anche se tutt’altro che tranquillo, mentre in lontananza echeggiavano i primi
tuoni di un temporale estivo, che Stefan si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi
in attesa della visita del messaggero.
E questo non tardò ad arrivare.
- Avanti, calmati e bevi la
camomilla prima che si raffreddi - gli disse Jerome costringendolo, quasi a
forza, a sedersi su una poltrona.
Aveva svegliato tutti con le sue
urla, notò con rammarico Stefan mentre si portava la tazza alle labbra.
- Allora Stefan, cos’è successo ? -
gli chiese suo padre
preoccupato.
- Il nonno - rispose lui con voce
tremante - Il nonno mi ha fatto una visita poco fa. Non avevo mai ricevuto una
visita da parte dello spirito di una persona che avevo conosciuto. Ma non è
stato questo a spaventarmi, anche se la visione è stata molto più vivida ed intensa
del solito, quanto piuttosto quello che mi ha detto.
- E cosa ti ha detto ? - lo esortò
Michaela, vedendo che il fratello non si decideva a proseguire.
- Mi ha detto - rispose
rivolgendosi a Jerome - di riferirti
queste parole: “L’arcimago ha messo il ramo segreto sulle tue tracce ... ma
qualcuno verrà in tuo soccorso”.
Il ramo segreto .... il nono raggio
... la gilda degli assassini. Jerome, pur cercando di dormire, non riusciva a
non pensare alla minaccia insita nelle parole del nipote.
Alla notizia aveva cercato di
mostrarsi sicuro e tranquillo. Ma in realtà era terribilmente spaventato.
Spaventato come mai lo era stato nel corso della sua vita. La gilda degli
assassini era una minaccia che non si sarebbe mai aspettato di dover affrontare.
Certo, sussurri, dicerie e pettegolezzi non mancavano, ma la Corporazione le
aveva sempre combattute fieramente asserendo che, da quanto la gilda degli
assassini era stata sciolta e dichiarata illegale cinquecento anni prima,
nessun mago era più stato introdotto ai segreti di quell’arte demoniaca.
E Jerome non aveva mai voluto dar
retta a quelle voci, non le aveva mai neppure volute sentire ... e d’altronde
come avrebbe potuto andare in battaglia, oppure adesso governare, sapendo che
un nemico poteva avere tra le sue schiere un mago-
assassino capace di ucciderlo a distanza senza dargli alcuna possibilità di
difesa.
Ma ora Jerome non aveva alcun
dubbio che il nono raggio esistesse e che Rowin glielo avesse scatenato contro.
Fu solo poco prima dell’alba,
mentre all’esterno la tempesta finalmente si placava, che la stanchezza ebbe la
meglio sui suoi timori facendolo cadere in un sonno agitato, quasi febbrile.
Poco dopo l’alba un uomo a cavallo
arrivò alle porte della città, proprio mentre due guardie le stavano aprendo.
Una delle due guardò per alcuni
secondi lo sconosciuto, un uomo sulla quarantina, non troppo alto ma dalle
spalle larghe, con capelli castano chiaro, una barba rossiccia tagliata corta
ed occhi azzurro-ghiaccio. Gli abiti dello straniero, un paio di calzoni verdi,
ed una camicia gialla, erano completamente inzuppati d’acqua e sporchi di
fango.
- Non mi direte che avete viaggiato
di notte durante la tempesta ? - chiese uno dei due avvicinandosi al
forestiero.
- Si - rispose questi.
- Come mai tanta fretta di arrivare
in città ?
- Devo parlare con il Re
- Con il Re ? Avanti, come Vi
chiamate ? - chiese sospettosa la guardia.
- Logain Bertis.
- Oh ... scusate Signore, ... non
Vi avevo riconosciuto - farfugliò il soldato sbiancando in volto - Prego,
passate pure e buona permanenza in città.
Non appena Logain se ne fu andato,
senza degnarlo nemmeno di uno sguardo, l’uomo si concesse un sospiro di
sollievo.
Logain Bertis, conte di Allar-tael, fratellastro del Re, non era uomo da
inimicarsi. E non tanto per i suoi rapporti con il sovrano, notoriamente
pessimi, quanto per le strane storie che lo circondavano. Storie che, solo ora
che lo aveva visto, cominciava a dubitare potessero anche essere vere.
Jerome si alzò dal letto
imprecando. Quanto avrò dormito stanotte ? -
si chiese - due ore?
Subito però la sua attenzione si
focalizzò sulla notizia appena portatagli da Fert, il suo segretario personale.
Suo fratello era a palazzo. Se la sera prima si era chiesto come le cose
avrebbero potuto andare peggio di come stavano andando, ora aveva la risposta:
Logain.
Erano due anni, dal funerale del
padre, che i due non si vedevano e Jerome non poteva certo dire di averne
sentito la mancanza. Pur non odiando il fratello, non aveva piacere a vederselo
attorno, e questo per un motivo che non avrebbe mai ammesso, neppure sotto
tortura: Logain gli faceva paura.
Mentre scendeva le scale, per
recarsi nella stanza dove il fratello lo attendeva, Jerome ripensò al ragazzino
di circa quindici anni che, una mattina di ventiquattro anni prima, si era
presentato alla porta del loro palazzo asserendo di essere figlio del generale
Saegev Bertis.
I servi naturalmente avevano
cercato di scacciarlo, ma Logain aveva reagito con un’aggressività ed una
violenza che il suo esile corpo non avrebbero lasciato sospettare. Ne era nata
una rissa in cui un valletto si era rotto un braccio ed un altro aveva riportato
la frattura di tre costole. Logain, naturalmente, non si era procurato neppure
un graffio.
Il rumore e gli strilli avevano
attirato sia lui, all’epoca
appena ventenne, che suo padre, e Jerome non avrebbe mai dimenticato il
comportamento che ebbe allora il fratellastro. Rialzatosi si sistemò con cura
gli stracci sporchi e puzzolenti che indossava, guardò dritto negli occhi il
padre e, con voce ferma, gli disse “Mi chiamo Logain. Quindici anni fa, durante
la guerra contro Frederick, l’usurpatore varentiano, aveste una relazione con
mia madre, Karola di Leisher. Io sono il frutto di quella relazione”. Nessuna
paura, nessuna vergogna.
Suo padre si ricordava della donna,
una prostituta che lavorava per la più bella casa d’appuntamenti di Leisher, e
chiese l’intervento dei maghi. Fu mandata una giovane guaritrice di nome Megam,
che avrebbe poi sposato Brion, che confermò le pretese del giovane.
Seguì allora un lungo periodo in
cui Logain si trasferì a vivere da loro. Tutti cercarono di dimenticarsi delle
sue origini e di diventarne amici. Ma Logain era un ragazzo strano. Sempre
triste, sempre silenzioso, sempre in disparte dagli altri. Ed in più era estremamente
testardo ed indipendente. Non discuteva nemmeno con gli altri, semplicemente
faceva quel che voleva. Senza ascoltare nessuno e senza mai dare alcuna
giustificazione. Ma più di tutto era straordinariamente dotato per ogni forma
di combattimento. Dopo pochi mesi di allenamento con la spada era già uno
spadaccino migliore di Jerome e sarebbe stato quasi imbattibile, se spesso non
fosse caduto preda di incontrollabili
esplosioni di violenza.
Nessuno quindi si rammaricò troppo,
nemmeno il padre che pure gli si era affezionato, quando, tre anni dopo,
scomparve improvvisamente. Non ne ebbero più notizie per diciassette
anni. Poi durante la guerra per la successione, combattutasi quattro anni
prima, una mattina all’alba improvvisamente ricomparve. Entrò nel campo e si
diresse verso la tenda del padre. Sbaragliò le quattro guardie che cercarono di
fermarlo e, dopo essere entrato nella tenda, gettò ai piedi del padre un sacco.
“La guerra è finita padre, la
corona è Vostra” si limitò a dire. Nel sacco c’erano la testa di Kail, il
pretendente, e del suo unico figlio di appena quattro anni.
Nei due mesi successivi
all’incoronazione Logain si fermò a palazzo. Due mesi che furono per tutti un
incubo. Il ragazzo silenzioso, scoprirono infatti, era diventato un uomo
praticamente muto. Non parlava mai, non sorrideva mai, neppure a tavola. Spesso
spariva per giorni senza dire nulla. Ed il suo talento per le arti del
combattimento si era affinato fino a livelli inquietanti. Jerome non poté fare
a meno di ripensare alla volta in cui lui e Logain erano usciti da soli per una
battuta di caccia vicino ai confini con Ferralt. Nel ritorno erano stati
attaccati da un gruppo di banditi composto da sedici uomini. Sedici contro due.
Jerome si era visto praticamente morto ma Logain, nell’arco di pochi secondi,
uccise nove di quegli uomini, costringendo gli altri alla fuga. I suoi colpi,
rammentò Jerome, avevano un qualcosa di magico, troppo veloci, imprevedibili
... nove affondi ... nove cadaveri.
Il padre infine, su insistenza di
tutta la famiglia, lo aveva nominato conte di Allar-tael, una piccola contea
che confinava a sud con Varent ed a ovest con le estreme propaggini del deserto
Rhashita. La contea era infestata da briganti varentiani e continuamente
esposta alle incursioni
dei predoni Marzin. Nell’arco di pochi mesi tuttavia i briganti erano stati
tutti eliminati da Logain ed i Marzin avevano deciso di star bene alla larga da
quello che definivano “il figlio del demonio”. Una definizione appropriata,
pensò Jerome pur non avendo alcuna intenzione di mancare di rispetto alla
memoria del padre.
Con un sospiro il sovrano entrò
infine della stanza in cui lo attendeva il fratellastro, in piedi dinanzi ad
una finestra.
- Logain, è un piacere vederti. -
mentì, abbastanza goffamente, Jerome - Cosa ti porta a palazzo ?
- Il Consiglio dei nove - rispose
lui senza nemmeno salutarlo - Verrò con te.
Quindi gli passò davanti ed uscì
dalla stanza senza dargli il tempo di
ribattere.
Era ormai passata da parecchio la
mezzanotte quando, in un’ampia stanza polverosa situata nei sotterranei del
castello, la figura vestita di nero terminò di tracciare il secondo cerchio di
protezione.
Controllò per ben tre volte che
ogni runa fosse disegnata in maniera assolutamente perfetta. Quando fu certo
della bontà della sua opera l’evocatore si avvicinò all’ampio cerchio, del
diametro di circa quattro metri, che aveva disegnato con un gesso rosso sul
pavimento e pronunciò una parola nell’arcana lingua dei maghi. Dopo alcuni
istanti le rune si illuminarono ad una ad una. Quando tutte furono illuminate
dal perimetro del cerchio si innalzò fino al soffitto una barriera magica dello
stesso colore delle rune che l’avevano generata.
La figura entrò allora nel secondo
cerchio, del diametro di
circa un metro, che aveva disegnato, in verde, all’interno del primo. Una volta
attivata anche questa barriera di protezione appoggiò per terra la candela
ormai quasi completamente consumata e si soffermò ad analizzare per l’ultima
volta tutto quanto aveva fatto. Tutto è
stato fatto alla perfezione, pensò. Ciononostante, fu con il terrore che
gli attanagliava il cuore che pronunciò l’incantesimo di evocazione dello
Zhast.
Per alcuni secondi sembrò non
accadere nulla, ma dopo poco l’evocatore cominciò a percepire nell’aria la
presenza maligna del demone, che si manifestò, infine, in una figura oscura,
un’ombra materializzata che sembrava assorbire la già scarsa luce della stanza.
Di quel corpo informe, all’apparenza senza gambe, braccia o testa, spiccavano
solo i due occhi rossi, simili a rubini, che si soffermarono subito
sull’evocatore.
Con velocità fulminea lo Zhast si
lanciò contro la presenza umana, immobile al centro del pavimento. La barriera
di protezione sfrigolò quando venne in contatto con l’essere demoniaco che,
immediatamente, emise un agghiacciante urlo di dolore. Tre volte l’essere provò
la consistenza della barriera che proteggeva l’evocatore senza mai riuscire a
superarla. Lo Zhast cercò allora di uscire dalla stanza ma subito venne
bloccato dal secondo cerchio di contenimento. Come impazzito, il demone
cominciò quindi a lanciarsi più volte contro le barriere, sia quella verde che
quella rossa, e nella stanza per parecchi minuti echeggiarono, terribili, le
sua urla di dolore e frustrazione. Alla fine lo Zhast si arrese e, fluttuando
nell’aria a pochi centimetri dal suolo, si portò davanti all’umano.
Lasciami libero umano! lo esortò mentalmente.
- No - replicò l’evocatore.
Lasciami libero umano o te ne pentirai!
- No, ti ho evocato per uno scopo
specifico e non ti lascerò libero fino a quando non ti sarai impegnato a fare
ciò che voglio.
Sei debole umano, quanto pensi che potranno reggere ancora le tue deboli
barriere magiche ?
- Quanto basta per domarti, Demone
- replicò l’umano fingendo una sicurezza che non possedeva. Pronunciò quindi un
incantesimo in risposta al quale le due barriere iniziarono ad avvicinarsi,
lentamente ma inesorabilmente.
- Ti restano pochi istanti, Demone.
Puoi accettare di fare ciò che voglio oppure essere annientato. La scelta è
tua.
Accetto, rispose infine il Demone, con una voce carica di odio,
quando le due barriere erano ormai vicinissime fra loro.
- Ti impegni a fare tutto ciò che
ti ordinerò e poi a tornare nel tuo mondo ? - domandò l’evocatore.
Si.
Era strano, pensò l’evocatore
mentre annullava le barriere di protezione, come esseri tanto abbietti quali
gli Zhast fossero indissolubilmente legati alla loro parola.
- Bene amico - disse quindi allo
Zhast che fluttuava a pochi centimetri dal suo corpo - da questa tua visita nel
mondo dei vivi potrai ottenere una sola anima. Ma non ti preoccupare, è
un’anima che ne vale molte.
Nel cuore della notte Logain si
svegliò di soprassalto; una delle protezioni che aveva disseminato per tutto il
castello era stata attivata.
Senza indugio, si alzò dal letto e
si precipitò verso la camera del fratello. Vi arrivò in meno di un minuto,
sapendo che l’aggressore si trovava già nella stanza del sovrano. La protezione
che aveva posto sulla porta della camera di Jerome era caduta pochi secondi
prima, ma aveva resistito parecchio. Nel suo cuore Logain sperò che quel
parecchio risultasse essere anche abbastanza. Nel momento in cui varcò la
soglia della camera fu investito dall’aura maligna che promanava
dall’aggressore. Anche il demone, che fluttuava a pochi centimetri dal letto
del fratello, captò la sua presenza e si voltò nella sua direzione.
E quell’istante di esitazione fu
sufficiente a Logain per erigere, intorno al fratello, una barriera di
protezione. Il demone percepì la magia e subito tentò di oltrepassarla. Per tre
volte ci provò inutilmente prima di girarsi nella direzione del mago umano.
Questo sentì chiaramente il desiderio del mostro di attaccarlo, un desiderio
potente ma ostacolato da un vincolo di obbedienza. Lo Zhast non poteva fare del
male ad alcuno fuorché a suo fratello, si rese conto con stupore Logain.
In quell’istante il demone iniziò a
muoversi e con decisione tentò di oltrepassarlo. Ma Logain non aveva alcuna
intenzione di lasciarlo andare; finché non fosse stato eliminato avrebbe
infatti costituito una costante minaccia per Jerome. Facendo appello a tutti i
suoi poteri scagliò quindi contro il mostro una scarica di fuoco magico. Per
alcuni istanti questo sembrò assorbire l’attacco, ma infine il fuoco superò le
sue difese. L’urlo agghiacciante che esso emise mentre il suo corpo informe
iniziava ad ardere, avvolto in fiamme verdi-azzurre, svegliò Jerome e tutti gli
altri abitanti del castello.
Mentre fuggiva, prima che il
fratello potesse notarlo, Logain vide con soddisfazione il corpo del demone
liquefarsi in un’orrida pozza nerastra e putrescente.
I giorni successivi furono per
tutti i membri della famiglia reale carichi di paura e tensione. Ma il
Consiglio incombeva ed i lavori preparatori distolsero tutti dalle loro cupe
riflessioni.
Partirono per il porto di Litir cinque giorni
dopo l’attacco dello Zhast, con una delegazione di circa 150 persone.
Arrivarono alla città costiera di
Litir tre giorni dopo e da lì si imbarcarono per l’isola di Sullen, dove
quell’anno si sarebbe tenuto il Consiglio dei nove. Il viaggio per mare
richiese complessivamente dodici giorni.
Dodici giorni di forzata inattività
che logorarono alquanto sia Jerome che Logain. Dodici giorni di incubi, timori,
paure, ipotesi e sospetti.
Sullen era una piccola isola
appartenente al regno di Varent. Era rinomata in tutti e nove i regni per la
sua straordinaria bellezza e per questo, quando veniva il loro turno di
ospitare il Consiglio, molto spesso i sovrani di Varent decidevano di organizzarlo
lì, anziché nella capitale.
Al porto, ad accoglierli, trovarono
Marin, figlio minore del re di Varent. Dopo i saluti e le frasi di rito il
principe li invitò a seguirlo. L’accampamento dove si sarebbe tenuto il
Consiglio, disse loro, distava circa venti minuti. Li condusse quindi lungo la
costa fino ad una stradina composta da migliaia di gradini, intagliati nel
granito rosa di cui
l’isola era estremamente ricca, che costeggiando un mare dai colori incantati,
si inerpicava lungo un piccolo massiccio roccioso.
Dopo circa dieci minuti tutti i
membri del gruppo cominciarono ad essere sudati e senza fiato.
- Forza, da qui in poi è tutta
discesa - fece loro coraggio il principe appoggiandosi alla balaustra di
ginepro grigio costruita lungo tutto il sentiero.
Dopo un’ultima svolta il Re ed il
resto della delegazione si ritrovarono dinanzi ad un panorama da sogno; una
piccola spiaggia di sabbia bianchissima si apriva infatti tra due massicci
rosati. La piccola valle era bagnata, da un lato, dal mare smeraldino e,
dall’altro, da un piccolo fiume. In mezzo numerose tende colorate, sormontate
da bandiere svolazzanti, erano già state erette. Ma fra tutte, fu una tenda rossa, con una grande bandiera nera con
sopra incisa in giallo una ruota ad otto raggi, ad attirare subito l’attenzione
di Jerome. la tenda dell’arcimago.
La mattina dopo Logain si alzò
presto. Gli era sempre piaciuto fare il bagno nel mare mentre sorgeva il sole e
tutti gli altri ancora dormivano. Arrivato al bagnasciuga si accorse però che
qualcuno lo aveva preceduto; in quel momento, infatti, Nigel e Stefan stavano
uscendo dall’acqua. Mentre i due iniziavano ad asciugarsi si avvicinò loro e li
salutò. Con i nipoti, così come con i fratelli, non aveva un grande rapporto e
la conversazione si ridusse quindi ad un paio di battute. Mentre si allontanava
però notò, con sgomento, sul braccio destro di Nigel un piccolo tatuaggio, non
più grande di una moneta. Una luna nascente.
C’è qualcosa che non quadra, si ritrovò a pensare, per
l’ennesima volta in quella giornata, poco dopo il tramonto, seduto al tavolo
del fratello, mentre questi raccontava a tutti come si era svolta la prima
giornata del Consiglio.
Tutto naturalmente era andato
secondo le aspettative. Erano stati firmati alcuni nuovi trattati commerciali,
altri, già in vigore, erano stati leggermente modificati, e poi, nel tardo
pomeriggio, era iniziata la discussione sull’unico argomento importante di quel
Consiglio: la riforma della Corporazione dei maghi. In un clima nervoso, Jerome
aveva avanzato in maniera assai semplice e diretta la sua proposta. Poi avevano
parlato gli altri sovrani che, sostanzialmente, avevano ribadito la posizione
già espressa nei mesi precedenti. I sovrani di Herlice, Varent, Kaldor e
Leunkeuer erano favorevoli mentre quelli di Lleanwead, Vandit e Kris erano
ufficialmente contrari ed avrebbero votato contro, pur sperando in cuor loro
che la proposta venisse approvata. Il Re di
Ferralt naturalmente avrebbe votato contro la mozione.
Mentre Jerome esponeva le sue
preoccupazioni in merito all’intervento che l’arcimago avrebbe tenuto il giorno
successivo, Logain si ritrovò, quasi senza accorgersene, a fissare Nigel. Era
davvero lui l’assassino ? Un tatuaggio a forma di mezzaluna sul braccio destro
era, da sempre, il simbolo segreto della gilda degli assassini, ma normalmente
si trattava di una mezzaluna calante e non crescente ed era protetta da un
incantesimo che consentiva soltanto agli adepti della setta di vederla. Poteva
trattarsi di una coincidenza ? No, visto le circostanze sarebbe stato da
sciocchi crederlo ma tuttavia ...
- C’è qualcosa che non va, zio ? -
gli chiese Nigel.
- Oh, .... no, scusami ero
soprappensiero - replicò imbarazzato, rendendosi conto che negli ultimi dieci
minuti non aveva mai staccato gli occhi dal ragazzo.
Per tutto il resto della cena cercò
allora di ignorare il nipote e di prestare attenzione alla conversazione. Ma
per tutta la sera il complicato rompicapo rappresentato dal tatuaggio continuò
a perseguitarlo. E fu con esso che si ritrovò solo, alcune ore più tardi, sulla
spiaggia ad ammirare un cielo nero senza luna ma illuminato da migliaia di
stelle. Il debole rumore delle onde che si infrangevano sugli scogli cullava i
suoi tenebrosi pensieri quando una voce, debole come un sussurro, ruppe
l’incantato silenzio.
- Quale dei miei figli è
l’assassino ? - gli chiese Megam sedendogli accanto.
- Sospetti di uno dei tuoi figli
Megam ? - replicò lui.
- Si, ed anche tu lo fai,
Cacciatore.
Per un attimo Logain fu tentato di
negare quello che la donna aveva detto, ma subito si rese conto che sarebbe
stato assolutamente inutile.
- Come hai fatto a scoprirlo ?- le
chiese quindi.
- E’ stato Saegev, in punto di
morte, a dirmelo. Lo so - si affrettò ad aggiungere notando il suo sguardo
irato - ti aveva giurato di non svelare a nessuno i tuoi segreti, ma non ti
arrabbiare con lui, non poteva morire portando nella tomba il tuo passato. Il
suo più grande desiderio era che un giorno tu ed i tuoi fratelli riusciste ad
abbattere la barriera che vi separa, ma sapeva che da soli non ci sareste mai
riusciti ed allora chiese a me di aiutarvi. E poi, Logain, io sapevo già
che tu eri un mago ... ti ho riconosciuto sin dalla prima volta che ti ho
rivisto .... A quindici anni non eri poi molto diverso dal bambino che avevo
conosciuto all’accademia magica. Ma tutto questo non ha importanza in questo
momento. Prima non mi hai risposto, a chi stai dando la caccia ? a quale dei
miei figli ?
- Non sto dando la caccia a
nessuno, ho smesso i panni del Cacciatore, per sempre.
- No, Logain. Tu sei e sarai sempre
un Cacciatore, a prescindere da ciò che tu puoi pensare o volere in questo
momento. Il giuramento che hai fatto era un giuramento per la vita.
- La mia vita - replicò lui
amaramente - sembra essere costellata da un gran numero di giuramenti eterni. A
diciotto anni, stanco di una famiglia in cui non riuscivo ad inserirmi, giurai
nelle mani dell’Arcimago di dedicare tutta la mia esistenza a dare la caccia ai
rinnegati che ancora aderivano al ramo segreto. Divenni un Cacciatore, una
delle figure più segrete e potenti della Corporazione dei maghi. Lo sai Megam,
neppure l’Arcimago stesso ha influenza su un Cacciatore, non gli viene mai
concesso di conoscere la nostra vera identità e neppure lui è al di sopra delle
nostre indagini.
- Divenni quindi un Cacciatore -
ripetè dopo un attimo - Uccisi decine di assassini. Mi dedicai alla missione
con tutto me stesso. E poi un giorno, ormai tanto lontano da sembrare
appartenere ad un’altra vita, riuscì ad intrufolarmi nel cuore stesso della
setta: divenni uno di loro, divenni amico di alcuni di loro ... mi innamorai di
una di loro. Si chiamava Ashe, e con lei, per la prima volta nella mia vita,
conobbi la felicità, riuscì ad essere davvero me stesso e a dimenticare
gli orrori che un vecchio mago mi aveva mostrato sin dall’età di cinque anni
per fare di me il suo successore. Fui sul punto di adattarmi a quella vita, di
diventare un vero assassino, ma il senso del dovere ebbe il sopravvento ed io
feci ciò che avevo giurato di fare ... li uccisi tutti, cinquantotto tra uomini
e donne, ed Ashe fu la prima.
- Ma quel giorno feci un nuovo
giuramento: mai più. Avevo fatto il mio dovere, avevo fatto più di quanto
qualunque altro Cacciatore avesse mai fatto e per questo avevo pagato un prezzo
fin troppo alto. Tornai allora alla famiglia di cui diciassette anni prima
avevo cercato inutilmente di far parte e, per esaudire l’ultimo desiderio di un
padre morente, pronunciai un altro giuramento: se mai Jerome o qualcun altro
della famiglia si fosse trovato in pericolo io l’avrei protetto.
- Ed ora - riprese quindi
scoppiando in una risata isterica ed incontrollabile - probabilmente uno dei
miei nipoti è un assassino, una delle persone che prima ho giurato di uccidere
e dopo di non uccidere mai più. E questo assassino sta minacciando Jerome, che
ho giurato di proteggere. Una situazione intricata non trovi ?
- Si davvero intricata - rispose
lei con voce colma di pietà - ma con una soluzione inevitabile.
- E quale sarebbe ?
- Tu sei un Cacciatore ... ed un
assassino sta minacciando la vita di Jerome ....
- E se questo assassino fosse
davvero uno dei tuoi figli ?
- Amo i miei figli più di me stessa
- replicò lei con voce tremante - ma se uno di loro è davvero un assassino, fa
quello che è giusto fare.
La donna quindi si alzò e
silenziosamente tornò verso l’accampamento. Logain la guardò per un po'
allontanarsi, ammirandola per il suo coraggio e chiedendosi se a lui, dopo
Ashe, di coraggio ne rimaneva a sufficienza per fare ciò che la donna gli aveva
chiesto.
Senza una risposta, parecchio tempo
dopo, si decise finalmente ad alzarsi e, nel silenzio della notte, si diresse
verso la sua tenda.
Quella notte però Logain dormì poco
e male. Poco prima dell’alba si svegliò di soprassalto con il peso del vago e
lontano ricordo di una storia, sentita tanti anni prima, che, dopo aver vagato
ai margini della sua conoscenza per tutta la giornata precedente, era
improvvisamente venuta a gravare sulla sua anima. La storia narrava di due
gemelli, vissuti due secoli prima. Uno dei due fu catturato e giustiziato da un
Cacciatore mentre cercava di uccidere il figlio del sovrano di Lankeur. Sul
braccio del ragazzo era tatuato, al contrario, il simbolo della gilda. Per mesi
il Cacciatore si era domandato cosa significasse quella novità. Tormentato
dalla domanda aveva iniziato ad investigare sul passato dell’assassino ed aveva
così scoperto che questo aveva un fratello gemello. Subito si mise sulle sue
tracce e quando infine lo trovò scoprì sul suo braccio il vero simbolo della
gilda degli assassini. Fu costretto ad ucciderlo prima di poterlo interrogare,
ma la verità emerse dal diario che esso teneva: il tatuaggio sul braccio del
primo fratello era parte di un incantesimo tramite il quale il secondo, il vero
assassino, aveva intensificato il naturale legame esistente con il gemello, in
modo da poterne controllare pienamente la mente e
far commettere a quest’ultimo i suoi crimini. Nel diario non era riportato
l’incantesimo in questione, ed i cacciatori avevano sperato che esso fosse
andato perduto per sempre. Ma in un qualche modo, ora, esso era riapparso dalle
nebbie del tempo. Logain rimase a lungo stordito, profondamente lacerato da
un’angoscia assoluta, incapace di accettare l’inevitabile conseguenza di tale
scoperta.
Nella giornata precedente si era
infatti quasi rassegnato al fatto che il colpevole fosse Nigel ed andasse
eliminato. Ma ormai non aveva più dubbi, tutto quadrava. L’assassino era
Ysabeau, la dolce gemella di Nigel, dal carattere aperto e dai lunghi capelli
rossi, tanto simili a quelli della madre. All’improvviso mille ricordi, mille
angosce, mille incubi, che negli ultimi anni aveva quasi dimenticato
riaffiorarono prepotentemente alla memoria. Per un po' tornò a distendersi sul
giaciglio, maledicendo il suo destino e desiderando di poter rimanere lì ad
aspettare che gli eventi seguissero il loro corso. Ma non poteva farlo, non ci
riusciva. Pur volendolo disperatamente non era capace di sottrarsi al
giuramento fatto tanti anni prima. Rassegnato al fatto di non poter fuggire da
sè stesso, mentre il sole sorgeva, alla fine si alzò e si mise sulle tracce
dell’assassino.
Per tutta la giornata Logain tenne
d’occhio la nipote, ma questa non fece nulla di particolare o sospetto. Al
mattino partecipò ad una festa tenuta nella vicina villa del duca di Sullen,
nel primo pomeriggio fece, assieme ai fratelli, un’escursione lungo la costa ed
infine, poco prima del tramonto, iniziò a prepararsi per il ballo che si
sarebbe tenuto quella notte nel palazzo del duca.
Logain e Jerome furono gli unici
membri delle delegazione korelliana a non partecipare al ballo, e si
ritrovarono a cenare assieme nella tenda del secondo.
Jerome era alquanto eccitato per
come si erano svolte le cose al Consiglio quel giorno; Rowin nella mattinata
aveva parlato ai nove ma senza grande successo. Il discorso era stato carico di
retorica e finto buon senso, con qualche minaccia, neppure troppo velata,
sparsa qua e là. Sostanzialmente però l’arcimago più che spaventare i sovrani
favorevoli alla proposta aveva irritato quelli contrari.
Jerome, notò Logain, sembrava aver
addirittura dimenticato la minaccia dell’assassino. Ma lui naturalmente non
l’aveva fatto ed era pronto all’azione. Se infatti l’arcimago voleva impedire
al Consiglio di prendere la decisione, Ysabeau avrebbe dovuto agire quella
notte o al più tardi la mattina successiva, prima dell’alba. Alla fine lui e
Jerome si ritrovarono sulla spiaggia ad assistere allo spettacolo pirotecnico
organizzato dal duca. Una volta terminato i due si diedero la buonanotte e si
diressero verso le rispettive tende. Ma Logain quella notte non aveva alcuna
intenzione di dormire. Pronunciò un incantesimo contro la stanchezza e si mise
in attesa.
Un’attesa che risultò alquanto
lunga. Era già notte inoltrata infatti quando i partecipanti alla festa
tornarono finalmente all’accampamento. Per alcuni secondi il silenzio della
notte fu rotto da sussurri, grida e rumori vari. Ma dopo pochi minuti tornò a
regnare la tranquillità. Ed a quel punto Logain uscì dalla sua tenda e si
avvicinò a quella di Ysabeau. Sedutosi dietro una piccola duna sabbiosa si mise
nuovamente in attesa.
Ysabeau uscì dopo pochi minuti,
avvolta in un mantello blu notte con cappuccio e, non certo a sorpresa, si
diresse verso la tenda dell’Arcimago. Una volta che la nipote fu entrata Logain
si avvicinò silenziosamente. Pronunciò un incantesimo per potenziare il suo
udito e si mise in ascolto.
- Dovrai agire domani mattina -
stava dicendo Rowin
- Lo sospettavo. Ma cosa devo fare
- replicò Ysabeau - riprovare con uno Zhast ?
- No, niente demoni stavolta. Dovrà
essere tuo fratello ad agire.
- Nigel ?
- Si. Un lavoro semplice, una
coltellata al cuore di tuo zio, domani mattina all’alba.
- Ma....
- Si lo so, i nostri progetti erano
altri; uccidere tuo zio e mettere Nigel sul trono, con te a guidarlo in ogni
mossa. Ma lo Zhast ha già fallito una volta e questo vuol dire che qualcuno sta
proteggendo tuo zio, forse un Cacciatore, e stavolta non possiamo permetterci
di fallire. Quindi sarà tuo fratello ad uccidere Jerome. Io naturalmente lo
farò arrestare e condannare a morte quale membro della gilda segreta e farò
presente agli altri sovrani quanto risulterebbe pericoloso depotenziare la
Corporazione proprio nel momento in cui la setta proibita torna a mostrare le
unghie. A quel punto la mozione verrà respinta, la Gilda rimarrà unita e ... tu
salirai sul trono di Korell.
- Io ?
- Si, tu. Se non sbaglio tuo padre
ha già rinunciato alla successione in vostro favore e le leggi Korelliane
consentono anche alle donne di salire al trono. Quindi, nella linea di
successione, dopo Nigel vieni tu. Naturalmente poi avrai bisogno di un consorte
- terminò infine l’arcimago.
- E tu hai forse una qualche idea al riguardo ? -
domandò maliziosamente Ysabeau scoppiando in un allegra risata.
- Oh, si - replicò lui - ora che mi
ci fai pensare ho proprio qualche buona idea in merito. Ma adesso vieni qui.
Per un attimo regnò nella tenda il
silenzio, subito rotto però dagli inconfondibili rumori tipici di due persone
intente ad amarsi. Logain, che era rimasto ad ascoltare tutta la conversazione
sperando che Ysabeau si opponesse all’Arcimago, a quel punto capì che ogni
ulteriore speranza era vana.
Ma Ysabeau non sarà la sola a pagare, si disse mentre lanciava
sui due amanti un antico incantesimo, sconosciuto nelle loro terre, che aveva
appreso alcuni anni prima durante un viaggio nel deserto Rashita.
La mattina successiva il primo a
svegliarsi fu Jerome. L’eccitazione della giornata precedente non si era per
nulla esaurita ed il sovrano di Korell aspettava, con trepidazione, l’ultima
riunione del Consiglio. Ben presto l’accampamento si animò e l’intera famiglia
reale di Korell, ad eccezione di Nigel, si ritrovò seduta intorno al fuoco su
cui Arthos, il cuoco di corte, stava cuocendo focacce e frittelle. Finalmente
anche Nigel uscì dalla sua tenda e si diresse verso il gruppo.
Logain, non appena lo vide, seppe
cosa stava per accadere e richiamò a sé l’energia necessaria per l’incantesimo
di cui aveva bisogno. Il nipote giunse silenziosamente a pochi passi dallo zio
ed estrasse quindi un lungo coltello, preparandosi a colpire. Ma il colpo non
giunse mai a segno.
Fu un urlo di Michaela ad attirare
l’attenzione di tutti su
Nigel che, alle spalle di Jerome, era immobile con il coltello in mano.
- Mio Dio - esplose Jerome - che
razza di scherzo è questo Nigel ?
- No, Jerome - gli rispose Logain -
ti sbagli, questo è tutto fuorché uno scherzo.
- Avanti Nigel - lo ignorò il
sovrano - perché te ne stai lì fermo con quel coltello in mano ?
- Se ne sta lì fermo perché l’ho
bloccato con un incantesimo - gli rispose nuovamente Logain riuscendo
finalmente a catturare la sua attenzione.
- Tu lo hai bloccato con un
incantesimo ?
- Si. E da ciò discende
naturalmente che io sono un mago. Ed ho bloccato Nigel perché stava per
ucciderti.
- Nigel? No - replicò Jerome mentre
i fratelli del ragazzo si alzavano sconvolti - No, non posso credere che sia
lui l’assassino. Non Nigel.
- Non lo è infatti. Ma l’assassino
è qui, in mezzo a noi, e sta agendo tramite Nigel.
- Basta con gli enigmi, Logain -
sbottò il sovrano con voce carica di minaccia - se sai chi è l’assassino dillo
e dillo ora.
- Guarda questo tatuaggio. - gli
replicò Logain scoprendo il braccio del nipote - Da sempre i membri della gilda
segreta hanno avuto l’abitudine di riconoscersi fra loro mediante un tatuaggio
a forma di luna calante. L’esatto opposto di questo, che invece è uno strumento
magico usato dai membri della gilda per controllare la volontà di altre persone
in modo da fargli commettere omicidi per loro conto.
- Questo - proseguì dopo essersi
allontano di alcuni passi
ed aver scoperto il proprio braccio destro - è invece il simbolo della gilda
degli assassini. Io però non sono l’assassino e sono sicuro che tra noi c’è
almeno un’altra persona che porta il mio stesso tatuaggio, quindi ..
In quell’istante Ysabeau lanciò un
grido e protendendo in avanti le mani
lanciò verso Jerome dieci dardi di pura energia. Logain tuttavia si era
aspettato una mossa simile e non appena la ragazza aveva accennato a muoversi,
aveva innalzato intorno al fratello uno scudo magico contro cui i dardi
sfrigolando scomparvero.
- Sono troppo forte per te - le
disse quindi avanzando di un passo - E’ tutta la vita che dò la caccia ed
elimino assassini molto più abili, addestrati ed esperti di te, Ysabeau. Non
hai speranze e se mi costringerai ad ucciderti lo farò, ma ti giuro che se ti
arrendi troverò il modo di risparmiarti la vita.
- Brucia all’inferno bastardo - gli
urlò però di rimando la ragazza protendendo le mani verso di lui e
riversandogli contro un fiume di fuoco magico. La colonna di fuoco verde
fosforescente si infranse però contro lo scudo magico eretto dal Cacciatore
che, sotto la potenza dell’attacco, divenne rosso incandescente.
La ragazza continuò però a
riversare contro lo zio tutta la sua energia e Logain si rese conto che presto
lo scudo avrebbe ceduto. Si concesse quindi, per un ultimo istante, di guardare
la nipote che, con il sole nascente che le bagnava di fuoco i lunghi capelli
rossi, era straordinariamente bella. Proprio come lo era stata Ashe. Ma proprio
come gli occhi della sua amata anche quelli di Ysabeau brillavano, in
quell’istante, di un’insana euforia generata dall’odio e dalla bramosia di
ucciderlo. Quegli occhi erano al di là di ogni possibile redenzione. E così
Logain raccolse tutte le sue energie e fece ciò che la nipote non era ancora
capace di fare; riversò tutto il suo potere in un unico e minuscolo dardo che
oltrepassò gli scudi della ragazza e la
colpì in piena fronte.
Ysabeau si accasciò immediatamente
al suolo, subito circondata dai genitori e dai fratelli alla ricerca di un
qualche segno di vita che Logain sapeva non potervi essere. Ed in quell’istante
un urlo proveniente dalla tenda dell’Arcimago gliene diede la definitiva
conferma. L’incantesimo con cui la sera prima aveva legato le anime dei due
amanti stava infatti cominciando ad agire, e l’anima di Ysabeau stava
trascinando con sé all’inferno quella di Rowin. Il grido straziante durò per
alcuni secondi per poi spegnersi definitivamente con un cupo ululato.
Logain si avvicinò allora a Nigel e
con una parola magica lo sciolse dall’incantesimo di immobilità. Il ragazzo si
accasciò al suolo singhiozzante. Logain avrebbe voluto consolarlo ma scoprì,
amaramente, di non esserne capace.
- Oggi è l’ultimo giorno del
Consiglio. - disse quindi a Jerome - Ciò che è avvenuto stamattina non deve far
mutare la decisione sulla Corporazione dei maghi. Altrimenti tutto sarà stato
inutile.
Dopo aver dato un ultimo sguardo al
corpo inanimato di Ysabeau, si voltò quindi verso la spiaggia e, dopo qualche
passo, silenziosamente scomparve.