IL CUORE DEI DRAGHI |
di |
GIANLUCA MARCHESELLI |
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Alle prime luci dell’alba, milleduecento nani armati di pesanti asce e guidati da un unico umano si scagliarono contro le forze della lega oscura. Grida di morte e di eccitazione, d’esaltazione e di dolore si diffusero nell’aria sovrastando il rumore metallico delle armi. I coboldi, che costituivano l’avanguardia dell’esercito nemico, seppur più numerosi, furono presto messi in grave difficoltà dalla maggiore organizzazione e forza fisica dei nani. Tuttavia il prezzo da questi pagato non fu certo trascurabile. E alla battaglia si aggiunsero allora i possenti Troll.
Lo scontro, caotico e feroce, si protrasse per alcune ore, ma infine i nani cominciarono a prendere un deciso sopravvento. Tre essere informi, neri come la notte, si fecero allora strada in mezzo ai mucchi di cadaveri insanguinati che ricoprivano il verde manto erboso. Erano i Gaul, i veri capi della lega oscura. Erano loro il vero pericolo, come tutti ben sapevano. Al loro passaggio i cadaveri, sia dei nani sia dei coboldi sia dei troll, si rialzarono e si unirono tutti contro le poche centinaia di nani sopravvissuti. Alcuni di questi cercarono di assalire i gaul ma a poche decine di metri da loro furono assaliti da un terrore assoluto, talmente grande da lasciarli pietrificati, incapaci perfino di scappare. Il loro cuore prese a battere sempre più forte fino a scoppiare. I loro corpi si accasciarono esanimi al suolo per pochi momenti per poi rialzarsi e unirsi a coloro che fino a pochi istanti prima avevano combattuto.
L’umano
a capo dei nani si fece allora avanti a sua volta. Arrivato al limite dell’area
di terrore generato dai mostri si fermò per un solo istante. Aveva scoperto,
sin da giovane, di essere uno dei pochi capaci di affrontare il potere dei
Gaul, ma farlo risultava sempre un’esperienza traumatica. Con un incredibile
sforzo, comunque, relegò nella parte più profonda del suo animo tutte le
angosce e le paure che i Gaul avrebbero usato per annientarlo e si lanciò
contro di loro.
I
tre demoni subito si mossero in modo da circondare il coraggioso nemico. Quei
mostri, quando serviva, sapevano essere straordinariamente veloci, e nelle
battaglie non avevano nemmeno bisogno di armi. Il loro tocco era letale. Nessun
cuore, infatti, per quanto impavido e puro poteva reggere il terrore generato
da un contatto diretto con un Gaul. Il loro corpo informe era inoltre immune
dai danni che potevano essere arrecati da armi comuni. Solo armi magiche
potevano sconfiggerli.
I
tre esseri tuttavia, per quanto straordinariamente potenti e generalmente
arroganti, esitarono un attimo prima di attaccare; l’umano che avevano dinanzi
non era, infatti, un comune nemico e già molti dei loro fratelli erano caduti
per mano sua. Solo nelle leggende degli elfi si potevano rintracciare eroi che
avessero arrecato tanti danni ai Gaul quanti Kenneth Grayowl.
Per
alcuni istanti dunque i tre demoni si limitarono a fluttuare nell’aria ruotando
intorno all’unico nemico che si frapponeva ai loro piani; la stasi fu tuttavia
di breve durata e, senza emettere alcun suono, i Gaul si lanciarono contro
l’umano.
La
scimitarra di questi immediatamente s’incendiò di fuoco fatuo mentre il suo
corpo si lanciava in una danza tanto rapida da non risultare quasi percettibile
agli occhi degli osservatori.
Lo
scontro duro solo una frazione di secondo; il tempo necessario alla spada
magica per penetrare nei corpi dei tre nemici.
Un
urlo agghiacciante ruppe allora il silenzio innaturale che era sceso sul campo
di battaglia. Poi, ad uno ad uno, i corpi rianimati dei caduti tornarono ad
accasciarsi al suolo.
I nani, rinfrancati, si lanciarono allora con vigorose urla contro i coboldi e i troll ancora in piedi che, dopo un attimo di smarrimento, si affrettarono a volgere le spalle all’esercito nemico e a fuggire in tutte le direzioni.
Al
sorgere del sole, quella mattina, un uomo e una donna salirono su una
collinetta che sovrastava la valle in cui i nani e l’esercito della lega oscura
si stavano per affrontare.
L’uomo,
di mezz’età, aveva corti capelli bianchi e occhi azzurri, freddi come il
ghiaccio. La donna invece era ancora giovane, e straordinariamente bella. Alta,
con lunghi capelli corvini, una pelle bianca come la luna e lineamenti
eleganti.
I
due restarono in silenzio ad osservare lo scontro.
“Davvero
notevole” disse impressionato l’uomo dopo aver visto il modo in cui l’umano
aveva sconfitto i tre Gaul.
“Già”
replicò la donna con un accenno di sorriso sulle labbra “Kenneth è sempre stato un uomo
straordinariamente pericoloso”.
Le
due lune erano già alte nel cielo quando Ord, il minotauro, entrò nella tenda
di Kenneth. Per tutto l’accampamento si sentivano i cori fragorosi dei nani
sopravvissuti che, riunitisi intorno a enormi fuochi, stavano celebrando in
modo adeguato la vittoria che avevano conseguito nella mattinata. I corpi degli
amici caduti erano stati bruciati al tramonto. In pochi minuti erano state
versate tutte le lacrime dovute alla memoria di chi era eroicamente perito in
battaglia. Ma la tristezza come sempre era durata poco. Quello era il tempo dei
festeggiamenti. E i nani non avrebbero mai rinunciato ad una notte di
festeggiamenti.
Quella
sera, come sempre, Kenneth non si era unito a loro.
“Ci
sono qua fuori due umani che ti vogliono parlare” annunciò Ord con la sua
profonda voce baritonale.
“Due
umani? Chi sono? Ti hanno detto il loro nome?” chiese Kenneth stupito.
“Si
sono presentati come Efrem e Laura; li vuoi ricevere?”
Efrem e Laura, impossibile! pensò
incredulo Kenneth.
“Si
certo, falli entrare” disse quindi
incuriosito al minotauro che uscì dalla
tenda lasciando solo per alcuni istanti l’umano, il cui animo si era
improvvisamente animato di mille ricordi ormai sepolti sotto le ceneri del
tempo. Dopo poco i due ospiti entrarono nella tenda e i tre rimasero in
silenzio ad osservarsi. Sono proprio
Efrem e Laura! constatò sbigottito Kenneth.
“Kenneth
è un vero piacere rivederti dopo tanto tempo” disse quindi Laura rompendo
l’imbarazzato silenzio, avvicinandosi a lui e dandogli un caloroso bacio sulle
labbra.
Quel
bacio ebbe il potere di infrangere lo sbigottimento in cui Kenneth era caduto.
Un tempo quella donna era stata la sua promessa sposa e l’uomo era stato il
migliore amico di suo padre e per lui praticamente uno zio. Ma troppi anni e
troppe azioni separavano le persone che aveva davanti dai fantasmi che
albergavano nella sua memoria.
“Anche
per me è un grande piacere.” mentì quindi, constatando solo allora quanto
splendida fosse diventata Laura; l’aveva vista per l’ultima volta sedici anni
prima, e allora era come un bocciolo, profumato e delicato, ma negli anni il
bocciolo si era schiuso in una rosa di straordinaria grazia e bellezza. “Un
piacere insperato, devo confessare. A cosa devo la vostra presenza ?”
“Gli
anni non ti hanno cambiato, per fortuna.” gli rispose Efrem con un affettuoso
sorriso dipinto sul volto “Vai sempre diritto al cuore del problema. Meglio
così, ci sarà tempo più tardi per i convenevoli. Caro Kenneth, siamo venuti per
richiamarti in patria. Il tuo esilio è durato per troppo tempo e sta arrecando
troppi danni al nostro
popolo. Luther si è dimostrato inadatto al ruolo di sovrano e sta portando la
nostra gente all’annientamento. Sono ormai sedici anni che la guerra contro la
lega oscura prosegue ininterrotta; ogni anno perdiamo sempre più terreno, ed
ormai la disfatta è prossima. Le forze nemiche stanno per attraversare il passo
di Gathyul e allora per tutti noi non ci sarà più speranza, la razza umana
scomparirà da questo pianeta e, visti i nostri rapporti con le altre razze, non
ne rimarrà nemmeno il ricordo. Tu sei la nostra unica speranza Kenneth, devi
tornare con noi a Ashur!”
Kenneth
ascoltò quelle parole in silenzio. Per tanto tempo le aveva sognate, per tanti
anni aveva agognato di essere richiamato in patria da suo padre, ma da tanti
anni aveva ormai perso ogni speranza. Ormai era troppo tardi, si rese conto con
amarezza, la sua vita era troppo ben definita per poter essere cambiata;
tornare al passato sarebbe stato un errore, per lui come per il suo popolo.
“Non
è possibile” disse quindi ai due visitatori che con evidente trepidazione
aspettavano una sua risposta “Luther è il legittimo erede, colui che mio padre
ha scelto per la successione. E almeno questa è una sua decisione che non
intendo contestare”.
“La
tua risposta ti fa onore, Kenneth.” gli replicò Laura. “E riempie i nostri
cuori di speranza: se c’è una cosa di cui il nostro popolo ha veramente bisogno
è di un sovrano che sappia cos’è l’onore e che sappia difendere ciò che è
giusto anche se per lui svantaggioso”.
“Evidentemente,
non avete capito.” replicò seccato Kenneth. “Non ho intenzione di accettare la
vostra offerta. Qualunque siano le vostre ragioni non spodesterò tuo marito,
Laura.”
“Kenneth”
si intromise allora Efrem ”la tua decisione si basa su un presupposto
sbagliato: Luther non è il legittimo sovrano, non è il successore designato da
tuo padre. Tu sei l’erede, tu sei colui che deve sedere
sul trono del drago. Tieni.” continuò quindi porgendogli una pergamena
ingiallita dagli anni. “Questa ti aiuterà a comprendere meglio.”
Kenneth
prese dalle mani dell’uomo la pergamena e volgendo le spalle ai due ospiti la
srotolò lentamente. Prima ancora di iniziare a leggerla, tuttavia, il suo cuore
s’infiammò: quella era la calligrafia di suo padre.
Caro
Kenneth,
ci sono
molte cose che vorrei dirti e molte azioni per cui devo chiederti di
perdonarmi. Sono molti mesi ormai che vorrei richiamarti in patria, ma finora
il mio stupido orgoglio me l’ha impedito. Quello stesso orgoglio che non mi ha
fatto ascoltare le tue parole e che mi ha portato ingiustamente a esiliarti. E’
davvero umiliante per un padre dover ammettere che il proprio figlio è più
saggio di lui. Ed è davvero stupido rendersi conto delle proprie colpe
solamente in punto di morte, ma per fortuna ho ancora il tempo per cercare di
rimediare agli errori commessi.
Ti
scrivo questa lettera con le mie ultime forze, quando la riceverai io sarò già
nel mondo dei defunti, a ricevere la giusta punizione per i miei crimini. La
mia ora si sta avvicinando velocemente a causa del veleno che coloro che
credevo amici e consiglieri mi stanno somministrando; non ti stupire del fatto
che io sappia e non faccia nulla al riguardo: la mia vita ormai è un ostacolo
per il regno, se non mi avessero avvelenato loro lo avrei fatto io stesso.
Quando sarai sul trono del Drago, figlio mio, ricordati però di una cosa: non
ti fidare di nessuno, di nessuno!
Io,
ahimè, mi sono fidato di tutti fuorché di te, l’unico cui avrei dovuto dare
ascolto. Avevi ragione, Kenneth, la decisione di attaccare gli elfi non solo
era assurda ma anche criminale. I draghi si sono rifiutati di aiutarci in
quella che giustamente vedevano come un’azione dettata unicamente dall’odio.
Oggi guardandomi indietro non riesco a capire cosa mi abbia spinto ad agire,
come una cosa tanto meschina quale la gloria personale possa all’improvviso
essere diventata per me tanto importante. Sognavo di essere ricordato come
Garth il conquistatore e per questo ho portato il mio popolo sull’orlo della
rovina.
I
draghi, il cui cuore è forgiato nell’amore e nell’onore, come ti ho già detto,
si rifiutarono di appoggiarmi in quella folle guerra contro gli elfi. E allora,
figlio mio, io persi completamente il senno e feci la più ignobile delle
azioni: mandai i miei uomini migliori sulle montagne. Feci catturare tre cuccioli
di drago e li feci sacrificare in modo che Efrem potesse utilizzarne il sangue
per forgiarmi una nuova armatura, più potente di quella che i draghi ci avevano
donato, che mi avrebbe reso assolutamente invincibile.
Non
posso spiegarti a parole la vergogna e il rimorso che provo per quelle azioni e
non voglio nemmeno cercare di giustificarle: per certe azioni non esistono
giustificazioni!
Efrem
comunque forgiò l’armatura, ma questa non appena la indossai si frantumò in
mille pezzi. L’armatura di Sedor, da quel momento, perse i suoi poteri, i
draghi non mi vollero più parlare e smisero di aiutarci, non solo nella guerra
contro gli elfi ma anche contro la lega oscura, e i nostri nemici, non appena
si accorsero di questo, iniziarono ad attaccarci con sempre maggiore foga. Non
so per quanto tempo potremo resistere, ma una cosa è certa: se non troveremo il
modo di rinsaldare l’alleanza con i draghi, il destino del nostro popolo è
segnato.
Ed è per
questo che io devo sparire e che il veleno che anche adesso i miei nemici mi
stanno propinando, più che una maledizione è un aiuto insperato. Mesi fa ho
finalmente trovato il coraggio di andare sulle montagne di Yhilum e di parlare
con i draghi. All’inizio si sono rifiutati di ascoltarmi ma alla fine hanno
accettato la mia proposta: se il mio erede si dimostrerà un uomo migliore di me
la nostra alleanza verrà ristabilita.
Kenneth,
torna in patria, rinnova l’amicizia con i draghi e salva il nostro popolo dai
miei errori.
E se nel
cuore ne trovi la forza, perdonami!
Garth
Greyowl
Kenneth finì di leggere la lettera con le lacrime agli occhi e sentendo che le forze gli venivano meno si accasciò su una sedia.
“Kenneth
… “ iniziò Laura.
“Come
è potuto avvenire?” la blocco lui gridando. “Mio padre è stato ucciso? Da chi?
Voi ne eravate al corrente? E’ stato Luther? E tu lo hai sposato? E sei venuta
da me solamente ora, dopo tutti questi anni?”
“Kenneth
calmati!” intervenne Efrem alzando a sua volta la voce. “Noi non sapevamo
niente fino a pochi giorni fa. Solamente allora Laura ha trovato, per puro
caso, tra le carte di suo marito questa pergamena e subito siamo venuti a
informarti in modo che tu possa ottenere la tua vendetta ed il ruolo che è tuo
di diritto”.
“Una
volta ti avrei creduto Efrem.” gli replicò però freddamente Kenneth. “Una volta
ti consideravo un amico, ma come posso fidarmi di un uomo che ha assecondato
mio padre nell’idea di uccidere tre cuccioli di drago. Che razza di uomo sei,
Efrem?”
“Io
non ho assecondato tuo padre; mi sono limitato a eseguirne gli ordini, anche se
non mi piacevano, e non avrei potuto fare diversamente, tuo padre era il mio
sovrano e se io mi fossi opposto a lui egli mi avrebbe esiliato come aveva
fatto con te e sarebbe rimasto in balia degli stessi consiglieri che avevano
voluto la guerra con gli elfi e suggerito l’oltraggio ai draghi.”
“Quanta
viltà in un uomo che mi parlava di coraggio! “
“Kenneth,
basta!” s’intromise Laura. “Efrem si è limitato ad eseguire gli ordini di tuo
padre, non puoi fargliene una colpa. Ti stiamo offrendo il modo per riavere il
trono, vendicare la morte di tuo padre e salvare il tuo popolo: perché ci
tratti come se stessimo complottando contro di te?”
“Perché
da quel che ricordo il complotto è ormai tanto radicato nella corte del drago,
che non sapete neppure più riconoscerlo. Laura, ti rendi conto che la vendetta
che mi stai offrendo è contro l’uomo che hai sposato dopo aver rotto la
promessa che ci legava? Come potrei fidarmi di te? Come?”
“Basta
così.” proruppe indignato Efrem. “E’ evidente che gli sforzi della battaglia di
stamattina ed il contenuto della lettera ti hanno sconvolto la mente. Non
staremo qui a subire ulteriormente le tue offese. Ritorneremo domani mattina.
Per allora spero che tu abbia ritrovato il senno”.
“E
cosa intendi fare?” gli chiese Ord, un paio di ore più tardi, dopo che Kenneth
gli ebbe riassunto il dialogo con i due umani.
“Cosa
intendo fare? Il mio posto ormai è qui Ord, sono un guerriero, un generale. Non
sarei in grado di fare il Re. Non ero portato a sopportare quell’ammasso di damerini
e serpi che circondano il trono del drago nemmeno da giovane, quando ero stato
addestrato a farlo, figuriamoci ora. E poi l’ultima cosa di cui il regno di
Ashur ha bisogno è una guerra civile.”
“Quindi
rimarrai qui ?”
“Si,
ormai la razza umana non è più una mia responsabilità.”
“Oh
no, Kenneth non t’ingannare, la razza umana è una tua responsabilità.
Fino a quando pensavi che Luther fosse il legittimo erede al trono, la scelta
di non cercare di spodestarlo ti faceva onore, ma ora le cose sono cambiate: tu
sei il legittimo sovrano degli umani e quindi il tuo popolo è una tua
responsabilità. Certo, può darsi che la cosa più saggia da fare in questo
momento sia di lasciare Luther sul trono, ma questo dovrai essere tu a
deciderlo assumendoti la responsabilità di tale decisione. Quindi pensa bene a
ciò che è meglio per il tuo popolo perché so che se prenderai la decisione
sbagliata non riuscirai mai a perdonartelo”.
“Quindi,
secondo te” gli domandò l’umano irritato “dovrei abbandonare i nani per tornare
ad Ashur?”
“Io
non ho detto nulla di tutto questo, Kenneth.” gli replicò il minotauro uscendo
dalla tenda. “Ti ho solo fatto presente che il destino della tua razza adesso è
nelle tue mani e tu non puoi fingere che non sia così”.
Kenneth
non ebbe bisogno di molto tempo per rendersi conto della verità contenuta nelle
parole del suo amico. In realtà, sin da quando aveva letto la pergamena, aveva
saputo con assoluta certezza quale fosse la cosa giusta da fare. Per un attimo
aveva però cercato di sfuggire al peso che il destino improvvisamente aveva
posto sulle spalle. E’ triste, pensò amaramente, quanto ci si accorge di essere
diventati troppo vecchi per gioire dell’avverarsi dei sogni giovanili.
Mentre
il silenzio scendeva finalmente sull’accampamento, uscì quindi mestamente dalla
sua tenda e si recò da Ganthor che non solo era il mago più potente
dell’esercito dei nani, ma anche il cugino del Re e uno dei suoi migliori
amici. In poche parole gli spiegò gli eventi della serata.
“Cosa
farai allora, Kenneth?” gli chiese il nano solennemente.
“Non
ho scelta.” replicò lui. “Devo tornare ad Ashur, la mia gente ha bisogno di me
e, anche se la situazione è disperata, non l’abbandonerò”.
“In
realtà sono contento della tua scelta.” gli disse allora Ganthor sorridendo. “Con
te sul trono c’è ancora una speranza per la razza umana. Ricordo ancora quando
tre secoli fa compariste improvvisamente su questo mondo, eravate un popolo
orgoglioso ma all’apparenza pieno di onore. Noi e gli elfi non stringemmo
subito un’alleanza con voi. Eravamo diffidenti, spaventati soprattutto dalla
breve durata della vostra vita, una caratteristica comune a tutte le razze
della lega oscura. Tuttavia dopo che i draghi si allearono con voi iniziammo a
intrattenere dei rapporti con i tuoi antenati traendone ottime impressioni. Ma
nell’arco di poche decine di anni tutto sembrò cambiare, il coraggio, l’onestà,
il senso dell’onore scomparvero per lasciare il posto all’avidità,
all’arroganza, all’amore per i sotterfugi, gli inganni e i tradimenti. Negli ultimi
due secoli sia noi che gli elfi siamo stati ben lieti di non avere stipulato
alcuna alleanza con voi, e la vostra presenza su questo mondo è stata poco più
di una curiosa anomalia, nemici della lega oscura ma amici solamente dei
draghi, quasi una terza forza nella millenaria guerra che dilania questo mondo.
Ma se sarai tu a guidarlo, per il tuo popolo ci sarà ancora speranza. Io ti
conosco, il mio popolo ti conosce, il mio Re ti conosce, i minotauri cantano le
tue gesta e gli elfi nutrono per te il rispetto che riconoscono solo ai loro
più grandi eroi. Se sarai tu a guidare la razza umana allora forse riuscirete
finalmente a trovare il vostro posto su questo mondo per voi ancora alieno”.
“Non
sarà facile” replicò Kenneth commosso dalle parole dell’amico.
“No,
non lo sarà, ma con te sul trono vi è una possibilità, senza di te
solamente l’oblio”.
Kenneth,
dopo un attimo di meditazione, infilò la mano in una tasca e ne trasse un
prezioso anello che per anni aveva custodito senza neppure saperne la ragione
visto il dolore che gli arrecava la sua semplice vista.
“Prima
che me ne vada” disse quindi al nano porgendogli l’anello “c’è però un ultimo
favore che mi devi fare.”
Quando,
l’indomani mattina, Efrem e Laura tornarono all’accampamento trovarono Kenneth
già in sella al suo cavallo.
“Il
sole è già alto” disse loro come saluto.
“E’
vero.” ribattè Efrem. “Ma volevamo lasciarti tempo a sufficienza per riflettere
con attenzione su quello che ti stavamo offrendo. Sono lieto che tu abbia
cambiato idea”.
Kenneth
non replicò alle parole del mago e si mise subito in movimento. Passarono in
mezzo a due colonne di nani vocianti che inneggiavano al suo nome. Non lo
avrebbero mai ammesso, neppure sotto tortura, ma Kenneth era sicuro che alcuni
di loro stessero piangendo mentre lo salutavano per l’ultima volta.
Appena
fuori dall’accampamento trovarono ad attenderli Ord in sella ad un enorme
cavallo.
“Non
avrai pensato di sbarazzarti di me tanto facilmente, vero?” domandò a Kenneth
accostandosi alla sua cavalcatura.
“Non
hai sempre detto di non provare alcuna simpatia per gli umani?”
“Certo
e non ho cambiato idea. Tuttavia mi sono ricordato che nessun minotauro ha mai
visitato una città umana, e credo proprio che sia ora di colmare questa
lacuna”.
“Allora”
replicò lui partendo al galoppo “è meglio che ci sbrighiamo. Non vorrei che
arrivassimo troppo tardi”.
Il
viaggio in realtà durò solamente pochi giorni. A centocinquanta leghe di
distanza dal luogo in cui era accampato l’esercito dei nani si ergeva infatti
un Collath. Questi erano degli enormi portali di pietra, alti in genere dieci
metri e larghi oltre sei, eretti anticamente su tutta la superficie del pianeta
dai Maerl che, in base a quello che sostenevano le leggende dei nani e degli
elfi, erano stati una razza senziente che si era evoluta su quello stesso
pianeta e lo aveva dominato per parecchie migliaia di anni, fino a quando le
forze della lega oscura non l’aveva scoperto e invaso in massa uccidendo in
poche centinaia di anni tutti i Maerl. O forse – pensò Kenneth nell’avvicinarsi
all’enorme portale – alcuni di loro erano riusciti a sfuggire su un altro
pianeta prima che l’estinzione della loro razza fosse un qualcosa di
definitivo, proprio come avevano fatto gli umani quando la lega oscura aveva
invaso il loro mondo. Tutti i Collath erano comunque interconessi tra loro e
consentivano, a chi possedeva le cognizioni magiche necessarie per attivarli,
di spostarsi per migliaia di miglia in un istante.
Efrem
attivò il Collath al tramonto del quinto giorno di viaggio mentre l’ultimo
spicchio di sole si andava a tuffare nell’orizzonte e le prime stelle si
accendevano nel cielo ormai scuro. Il portale inizialmente sembrò scuotersi,
come un enorme gigante che avesse bisogno di alcuni istanti per riprendersi da
un lungo sonno. Poi iniziò ad illuminarsi di una luce azzurrognola che pian
piano andò intensificandosi mentre la sua superficie veniva attraversata da
parte a parte da violente saette bianche. Alla fine l’artefatto sembrò calmarsi
mentre la luminescenza che emanava si era fatta tanto intensa da risultare
quasi accecante per l’occhio umano.
“Adesso
possiamo andare” disse Efrem rompendo il silenzio che era sceso sul gruppo. A
uno a uno i quattro membri della spedizione entrarono nel portale e in un
istante attraversarono mezzo
continente.
Arrivarono
ad Ashur in una calda mattinata di tarda estate.
Kenneth
si fermò per parecchi minuti ad osservare da lontano la città della sua
giovinezza, la capitale del suo regno. Onestamente, dovette ammettere che non
poteva competere con le spiraleggianti città degli elfi e naturalmente nemmeno
con Ozhaleth, la possente ed enorme città stato dei minotauri, tuttavia anche
Ashur aveva un qualcosa di unico e speciale e sarebbe stato davvero un peccato
se fosse stata spazzata via dall’avanzata della lega oscura.
La
commozione destata dalla vista della sua città natale ebbe tuttavia breve
durata; il viaggio era terminato e ora sarebbero iniziati i guai, primo fra
tutti Luther.
Contrariamente
alle previsioni tuttavia Luther non costituì alcun problema: arrivati alle
porte di ingresso trovarono infatti il cadavere dell’usurpatore penzolante
dalle mura della città.
Kenneth
rimase in silenzio per alcuni lunghissimi istanti a osservare il corpo del
cugino; alla fine, senza dire una parola, riprese a muoversi.
“Maestà,
bentornato in città” lo accolsero le guardie inginocchiandosi dinanzi a lui.
“Provvedete
a far togliere immediatamente il cadavere di mio cugino dalle mura e fatelo
mandare al palazzo reale” replicò lui con voce glaciale oltrepassandole di
slancio.
La
voce del suo ritorno, comunque, doveva essere stata diffusa in modo assai
efficiente perché Kenneth trovò tutte le strade che portavano al palazzo reale
straripanti di folla che inneggiava al suo nome. A metà strada venne poi loro
incontro una delegazione di nobili guidati dal Barone Joshua Pallister, un
vecchio amico di suo padre che aveva fatto da primo ministro negli ultimi anni
del regno di questo e per tutta la durata di quello di Luther.
“Maestà”
lo salutò sorridente Pallister avvicinandosi “è un piacere poterVi dare il
bentornato. Il Vostro popolo ha bisogno di Voi e noi tutti siamo sicuri che …”
“Cos’è
successo a Luther?” lo interruppe Kenneth subito esasperato dalla pomposità del
vecchio politico.
“Una
vera disgrazia Vostra Maestà. Nella nottata di ieri si è sparsa per la città la
voce di un Vostro ritorno, si è subito creata una folla di persone che si è
diretta verso il palazzo reale, le guardie hanno cercato di fermare i
dimostranti ma questi erano troppi e così sono entrati nel palazzo, hanno
prelevato il povero Re Luther e lo hanno portato sulle mura cittadine e poi …
beh quello che poi hanno fatto lo sapete”.
“Si,
lo so” replicò Kenneth in parte sollevato dal fatto di non dover affrontare una
guerra civile per rimpossessarsi del suo trono ma al contempo assai irritato
per non aver potuto vendicare l’omicidio del padre e soprattutto non aver
potuto interrogare Luther. Conosceva infatti bene il cugino, e sapeva che era
ambizioso e arrogante, ma anche ottuso e pavido di cuore: da solo non avrebbe
mai organizzato la cospirazione che l’aveva portato alla corona. “Efrem, chi
sapeva del mio ritorno?”
“Nessuno
Kenneth. Evidentemente qualcuno deve averci riconosciuto ieri pomeriggio quando
ci siamo fermati per dormire a Moor ed essersi precipitato nella capitale per
avvertire tutti del tuo ritorno. E poi, beh … Luther non era molto amato come
Re”
“Già,
molto comodo” borbottò Kenneth rimettendosi in cammino. “Dannatamente comodo”.
Ma la verità, pensò, in un modo o nell’altro sarebbe venuta a galla. Presto.
Nei
successivi due giorni, naturalmente, Kenneth maledì più volte la propria
decisione di riprendersi il trono. Mille problemi, talvolta importanti, molto
più spesso insignificanti o addirittura stupidi, richiedevano la sua attenzione.
E naturalmente i cortigiani e i ministri di Luther gli ronzavano continuamente
attorno, come dei fastidiosi mosconi, per capire quali fossero le sue
intenzioni.
Nel
frattempo le notizie che giungeva dai suoi generali erano tutt’altro che
rincuoranti: il nemico avanzava sempre più e, salvo miracoli, presto avrebbe
sfondato le difese del passo di Gathyul. E allora tutto sarebbe stato perduto.
La
terza sera, infine, si decise ad affrontare il primo dei suoi problemi e invitò
Laura a cena nei suoi appartamenti. Per tutta la serata Kenneth rimase
ammaliato da quella donna che avrebbe potuto essere sua moglie. E che forse lo diventerà, si disse più
volte pur sapendo, in fondo al suo cuore, che quella era solo una falsa
speranza che gli avrebbe causato un grande dolore.
Avvolta
in un abito di seta verde che esaltava il colore dei suoi occhi e della sua
carnagione, Laura era più bella di qualunque donna lui avesse mai visto; ed
oltre a ciò la sua conversazione era brillante, la sua personalità trascinante,
la sua intelligenza acuta. Era la donna dei suoi sogni. Troppo perfetta per essere vera, si disse tuttavia con rammarico
prima di accantonare i vecchi ricordi e iniziare la ricerca della verità.
“Cosa
c’era tra te e Luther ?” le chiese quindi all’improvviso. “Scusa la mancanza di
sensibilità, ma non mi sembri una vedova affranta dal dolore per l’improvvisa
scomparsa del marito.”
“Quello
tra me e Luther” rispose lei dopo alcuni istanti di meditazione “è stato
solamente un matrimonio di convenienza. Non c’era amore tra me e lui. Nel mio
cuore c’è sempre stato posto solamente per te. Ma dopo il tuo esilio Luther
iniziò a corteggiarmi in modo
insistente, sembrava affascinato dall’idea di impossessarsi anche della tua
promessa sposa oltreché della tua eredità. Per alcuni mesi comunque lo respinsi
ma alla fine fui convocata da tuo padre che mi fece capire, in modo assai poco
delicato, che un matrimonio tra me e Luther sarebbe stato cosa assai gradita ai
suoi occhi. E così ci sposammo, ma tra noi l’amore non sbocciò mai. Luther era
arrogante, prepotente, talvolta violento. E inoltre era un pessimo sovrano.
Quindi è vero, non sono affatto addolorata per la sua morte, anzi ne sono
sollevata. E d’altronde” aggiunse dopo un attimo di silenzio “quando ho trovato
la lettera di tuo padre e ho deciso di consegnartela sapevo quali sarebbero
state le conseguenze per mio marito”.
Kenneth
ascoltò le parole della donna con attenzione, cercando di sopire le emozioni
che Laura sapeva ancora destare nel suo cuore. Mi ha detto esattamente ciò che volevo sentirmi dire. Ma nonostante
la speranza che tutto ciò potesse essere vero, la parte più razionale di lui
sentiva che quello che Laura gli aveva raccontato non era altro che un cumulo
di bugie.
In silenzio quindi si alzò dal tavolo e andò sull’enorme balcone della sua camera da letto a osservare il panorama. Pochi istanti più tardi i passi leggeri della donna risuonarono nel silenzio.
“Kenneth”
esordì quindi imbarazzata raggiungendolo all’aperto “non fraintendere quello
che sto per dirti, ma, come ti ho detto prima, tra me e Luther non c’è mai
stato amore, alla fine non c’era più nemmeno rispetto o civiltà, al contrario
tu sei sempre rimasto nel mio cuore quindi … .”
Kenneth
non colse l’invito implicito a completare la frase rimasta in sospeso e lasciò
che il silenzio si protraesse fino a diventare imbarazzante.
“…
quindi” riprese Laura “se anche tu provi ancora qualcosa per me, potremmo cercare di scoprire cosa sarebbe
potuto nascere dal nostro amore se tuo padre e Luther non si fossero intromessi”.
Kenneth
si avvicinò allora alla donna e le prese le mani. Per un lungo istante i loro
sguardi si attrassero come intrappolati da un’arcana magia mentre la pallida
luce lunare accarezzava i lunghi capelli corvini e le gote arrossate della sua
amata. E’ perfino riuscita ad arrossire, pensò
allora con un misto di cinismo ed ammirazione specchiandosi nei suoi enormi
occhi verdi. Ma la Laura che lui ricordava era una ragazza scaltra e furba, che
non conosceva l’imbarazzo e nemmeno il pudore. Era stata propria la sua
disinibizione che l’aveva attratto più di ogni altra cosa e dubitava che sedici
anni di vita a corte avessero potuto insegnarle ad arrossire, se non per mera
convenienza.
“Laura”
le disse quindi “nemmeno io ti ho mai dimentica pur avendoci provato a lungo.
Sapevo che eri sposata a Luther e che eri la regina di Ashur, eppure una parte
di me ha sempre creduto che alla fine ci saremmo ritrovati. Evidentemente è il
nostro destino e nessuno d’ora in poi potrà permettersi di ostacolarlo”.
Con
mosse lente prese quindi il volto della donna tra le proprie mani, avvicinò le
proprie labbra alle sue e con ardore la baciò.
“Torniamo
dentro.” le disse quindi chiedendosi mestamente quanto dolore gli avrebbe
arrecato ciò che stava per fare e se davvero non poteva mettere da parte la
verità e vivere quel sogno che all’improvviso era diventato realtà. “Ho
qualcosa da darti”.
Rientrato
nella stanza aprì quindi una borsa che conteneva le poche cose che si era
portato con sé dall’accampamento dei nani, ed estrasse una piccola scatola.
“Per
tutti questi anni” disse quindi avvicinandosi a Laura “ho conservato questa
scatola in attesa di questo momento. Mille volte sono stato
sul punto di gettarla via, perché ogni volta che la prendevo in mano la mia
mente ricordava ciò che era stato mio e che avevo perso. Ma come ti ho detto
una parte di me ha sempre saputo che in qualche modo ci saremmo ritrovati”.
Aprì
quindi la scatola e ne estrasse un prezioso anello composto da un enorme
zaffiro circondato da diamanti.
“Avevo
fatto commissionare questo anello poco prima del mio esilio. Nelle mie
intenzioni avrebbe dovuto essere un anello di fidanzamento. Se vuoi può ancora
diventarlo.” le disse quindi porgendole il monile.
“Kenneth”
replicò Laura con gli occhi ricolmi di lacrime ed un sorriso radioso “questo va
ben oltre le mie aspettative e non ti posso esprime a parole la mia gioia.
Negli ultimi sedici anni non c’è stata notte in cui io non abbia sognato questo
momento”.
Laura
prese quindi l’anello e se lo infilò all’anulare della mano sinistra. E in un
istante la sua espressione cambiò.
“No,
ti prego Kenneth, cosa mi stai facendo? C’è qualcosa nell’anello, cos’è? Ti
prego aiutami.” gridò, con il terrore negli occhi, mentre con tutte le forze
cercava di sfilarsi l’anello dal dito.
“Non
è niente, Laura.” le rispose lui indurendo il proprio cuore come faceva prima
di affrontare i Gaul. “Si tratta soltanto di un incantesimo di verità. Quindi
non hai nulla da temere. Però adesso voglio la verità, su mio padre, su Luther
e su di te”.
“Ti
prego, Kenneth.” replicò lei con le lacrime che le scorrevano copiose sulle
guance, e gli occhi ricolmi di paura. “Ti prego non costringermi, accetta ciò
che ti ho detto, non impormi di dirti ciò che non vuoi sentire. Ti prego”.
“La
verità.” incalzò implacabile. “Dimmi la verità!”.
Laura
cercò allora di fuggire, ma le gambe le si paralizzarono dopo pochi passi;
cercò di gridare, ma il grido le morì in gola, cercò per
l’ennesima volta di sfilarsi l’anello, senza successo.
“Sia
come vuoi.” disse infine sconfitta. “La verità, allora, inizia sedici anni fa,
poco prima del tuo esilio. Una notte Efrem venne nella mia stanza e non so
ancora come ma riuscì a sedurmi e dal giorno dopo iniziò a ricattarmi. Diceva
che se non avessi fatto tutto quello che voleva ti avrebbe raccontato quello
che era successo tra noi, e io non potevo permettere che ciò accadesse perché
tu non avresti mai capito che si era trattato solamente di uno sbaglio, che
forse aveva usato la sua magia, ma che comunque io ti amavo e volevo essere la
tua regina. Ma tu come avresti mai potuto capire, sempre così perfetto da non
sembrare, talvolta, neppure reale? E così accettai il suo ricatto e cominciai
ad istigarti perché tu fermassi tuo padre prima che si lanciasse in quella
stupida guerra contro gli elfi. Era una trappola naturalmente. Efrem, da quel
che mi ha detto, è un discendente della casata dei Cardus e non solo rivuole il
trono che i tuoi antenati sottrassero ai suoi nella vecchia patria ma vuole
anche che il nome dei Greyowl venga infangato dalle loro stesse azioni. Ma tu
per i suoi piani costitutivi un ostacolo insormontabile, non avrebbe mai potuto
corromperti e così fece in modo che tu fossi esiliato. Naturalmente Efrem fu
appoggiato in ciò da quasi tutti i più importanti membri del Governo che
preferivano di gran lunga che a succedere al trono fosse quell’idiota di
Luther. Ciò che poi avvenne lo sai già, tuo padre si lanciò contro gli elfi e
perse e per cercare di uscire da una situazione disperata tradì persino i
draghi. Io nel frattempo, sempre su indicazione di Efrem, iniziai a stuzzicare
Luther e a insistere perché mi sposasse. Alla fine Luther si arrese e sfidando
tuo padre mi sposò. A quel punto però Garth aveva capito che aveva commesso un
grave errore nell’esiliarti. Fortunatamente, per via del suo enorme orgoglio,
fece passare dei mesi prima di richiamarmi,
nella speranza che fossi tu a tornare da lui, e quando alla fine si decise era
ormai troppo tardi: Efrem aveva già iniziato ad avvelenarlo. Luther salì quindi
al trono. Il piano di Efrem a quel punto era quasi completato, fece in modo che
Luther diventasse sterile e poi mi mise incinta. Una volta nato suo figlio
avrebbe eliminato Luther, mi avrebbe sposata e avrebbe rivendicato la sua vera
identità. Ma qualcosa andò storto: i draghi. Questi si rifiutarono in modo
categorico di parlamentare con Luther, tuo padre aveva detto loro che tu eri il
suo erede e loro non avevano alcuna intenzione di riallacciare i nostri
rapporti se non con il nostro legittimo sovrano. Luther quindi rimase in vita a
combattere una guerra disperata mentre io continuavo a mettere al mondo i figli
di Efrem e lui cercava un modo per uscire da una situazione sempre più
disperata. Alla fine Efrem è stato costretto a richiamarti in modo che tu
potessi ristabilire l’alleanza con i draghi e vincere la guerra. Poi
naturalmente ti avrebbe eliminato. Ma ora le cose possono cambiare.” continuò
la donna sollevando lo sguardo verso di lui. “Tra tutte le cose che ti ho detto
prima, una era vera: io ti amo, ti ho sempre amato, non ho mai smesso di
pensare a te. Uccidi Efrem e poi finalmente potremo essere felici, potremo
avere tutto ciò che abbiamo sempre sognato, ciò …”
“Basta!”
la interruppe però Kenneth nauseato da tutto ciò che aveva udito ed ancor dalla
dichiarazione d’amore della donna. E’
assurdo, si ritrovò a pensare volgendole le spalle, ma quando dice di amarmi è la verità. Che cosa devo fare di lei?
Per un po’ rimase quindi in silenzio ad ascoltare il singhiozzare della donna che era rimasta nel suo cuore per tanti anni e maledicendo, per l’ennesima volta, la propria decisione di abbondare i nani. Una parte di lui avrebbe voluto far finta di niente, Laura lo amava e solo questo contava, un’altra parte però era disgustato dalla sola vista della donna, dal pensiero che lo aveva tradito, era stata complice nell’omicidio di suo padre, aveva contribuito a portare il suo popolo sull’orlo della disfatta. Avrebbe dovuto farla giustiziare, su questo non c’era alcun dubbio. Ma non aveva la forza per farlo. No, non avrebbe iniziato il suo regno facendo uccidere una donna.
“Per
tutto ciò che hai fatto” le disse “dovrei farti giustiziare, ma non voglio
iniziare il mio regno avendo il tuo sangue sulle mie mani, quindi nella
giornata di domani verrai portata al monastero di Santa Elyan e la rimarrai per
tutto il resto della tua vita”.
“No.
Kenneth non hai capito!” Gridò lei con la voce rotta dalla disperazione. “Io ti
amo, non puoi farmi questo, non puoi distruggere il nostro futuro. Ho commesso
tanti errori, lo so, ma sono stata costretta, non avevo altra scelta .. non
puoi imputarmi la responsabilità di ciò che è avvenuto, era Efrem che tirava i
fili, io ero solo un burattino nelle sue mani. Devi capirlo questo. Devi!”.
“Forse
lo capisco, e forse è per questo che non ho la forza per condannarti a morte ma
comunque tu sei responsabile per tutto ciò che avvenuto, avresti potuto opporti
a Efrem, anziché lasciarti manovrare da lui”.
“Tu
sei geloso. Ammettilo, la tua è solo gelosia. Ma ti assicuro che Efrem per me
non è nulla, io amo solo te. Una volta che …”
“Adesso
basta. Torna nelle tue stanze prima che decida di chiamare le guardie per farti
scortare in cella”.
“No,
non puoi farmi questo … non puoi” iniziò lei spaventata, ma poi all’improvviso
la sua espressione cambiò. In un attimo si lanciò contro di lui con un pugnale
in mano. Kenneth non ebbe nemmeno il tempo di pensare, il suo corpo reagì in
base a un istinto che per tanti anni aveva allenato sui campi di battaglia e
che lo aveva sempre tenuto in vita e, prima che la donna avesse percorso la
metà dei pochi metri che li separavano, uno stiletto sfrecciò nell’aria per
colpirla al cuore.
Laura
cadde al suolo senza emettere nemmeno un gemito. Kenneth osservò per un solo
momento gli occhi dell’amata devastati dalla paura e resi irriconoscibili
dall’odio. Quella era la prima volta che uccideva una donna. Quella era la
prima volta che uccideva un umano. E in quell’istante ebbe la consapevolezza
che se in un futuro si fosse trovato ad affrontare nuovamente i Gaul non
avrebbe potuto sopravvivere al loro potere.
Ma
quella lunga notte non era ancora finita. Dopo un paio d’ore Kenneth decise
infatti che era meglio agire nei confronti di Efrem il prima possibile e
soprattutto nel modo più silenzioso possibile. Gli sarebbe piaciuto farlo giustiziare
pubblicamente ma con un mago ciò comportava troppo rischi. Mentre dunque le
lune erano ancora alte nel cielo, sommessamente s’intrufolò nella stanza di
quello che per buona parte della sua vita aveva ritenuto un caro amico e un
fidato consigliere. In silenzio si avvicinò a lui e lo osservò per alcuni
secondi mentre dormiva, quindi estrasse il pugnale. Con decisione premette
dunque una mano sulla bocca del mago mentre con l’altra portò il coltello alla
sua gola.
Efrem
aprì immediatamente gli occhi e cercò di divincolarsi; il sovrano di Ashur
premette però il coltello e in un attimo fu tutto finito.
La
mattina dopo Kenneth fece appendere i cadaveri di Laura e Efrem alle mura della
città, proprio sopra la porta principale, così come la tradizione prevedeva nei
confronti dei traditori del sovrano. Gli sarebbe piaciuto poter risparmiare
quell'umiliazione al cadavere della donna che aveva amato, ma purtroppo ciò non
era
possibile, il popolo doveva sapere per quale motivo la moglie del precedente
sovrano e quello che per oltre vent’anni era stato il mago di corte erano stati
giustiziati, altrimenti si sarebbero diffuse voci che lo avrebbero dipinto con
un barbaro assetato di sangue e di potere che, non appena salito al trono, si
era sbarazzato di persone potenzialmente pericolose.
Nel
corso della mattinata fu comunque costretto a dare ampie spiegazioni
dell’accaduto il che fu una buona opportunità per far presente ai consiglieri
che stando alle parole di Laura molti di loro erano stati più che lieti del suo
esilio. Laura e Efrem vennero comunque presto messi da parte perché le notizie
che giungevano dal fronte erano tutt’altro che positive: le forze della lega
oscura erano riuscite a sfondare la prima delle tre linee difensive del passo
di Gathyul. Dopo una lunga discussione, in cui Kenneth fu costretto a
minacciare di sciogliere il Consiglio e di avocare a sé tutti i poteri così
come la legge gli consentiva di fare in tempo di guerra, fu deciso di inviare
immediatamente tutte le forze disponibili in difesa del passo.
Nell’uscire
dalla sala in cui si era svolta la riunione Kenneth venne però assalito da un
giovane che non conosceva ma che non ebbe difficoltà a riconoscere.
“Ti
ammazzerò per quello hai fatto a mio padre e a mia madre, te lo giuro, bastardo!
Ti ammazzerò e mi riprenderò il trono.” gridò Iannis, il figlio tredicenne di
Laura e Luther, mentre tre guardie lo portavano a forza nelle sue stanze.
“Non
deve essere stata un’esperienza piacevole” commentò Ord dopo che gli ebbe
riferito gli eventi della mattinata.
“No,
non lo è stata. Ma al suo posto, probabilmente, avrei reagito allo stesso
modo”.
“Forse
è vero, tuttavia ti conviene stare attento a quel ragazzo. Oggi che ha tredici
anni ti ha aggredito a calci e pugni, domani, quando ne avrà diciotto o venti,
lo farà con un coltello”.
“O
forse con del veleno visti i precedenti familiari.” replicò amaramente Kenneth.
“Ma in realtà tutto questo non conta. Se non sconfiggeremo la lega oscura non
ci sarà più un regno umano da governare e il giovane Iannis non avrà più un
presunto zio da eliminare, quindi” proseguì alzandosi in piedi ed avvicinandosi
all’armatura di Sedor che aveva fatto portare nella sua stanza “sarà meglio che
mi metta al lavoro”.
L’armatura
di Sedor era un artefatto che lasciava chiunque la guardasse senza fiato tanto
era grande la sua arcana bellezza. Ma l’armatura era qualcosa di più di una
semplice opera d’arte, era un’arma in cui era stata infusa una straordinaria
magia che rendeva chiunque la portasse praticamente invincibile. E ancor di
più, essa aveva rappresentato fin dai primi anni della presenza dell’uomo su
questo pianeta il segno dell’alleanza della stirpe umana con quella dei draghi.
Un atto di eroismo di Baldovar, il sovrano della diaspora, l’aveva fatta
guadagnare agli uomini appena arrivati su quel mondo sconosciuto. Un atto di
straordinaria viltà l’aveva fatta probabilmente perdere agli uomini. Mentre
Kenneth indossava l’armatura composta dalle scaglie rosse del drago Sedor, il
suo pensiero andò al canto di Baldovar, un canto che ogni bambino conosceva sin
dalla più tenera età, e di come questi si fosse lanciato, con solo 50
guerrieri, in difesa del possente drago Sedor, ormai morente e accerchiato da
decine di Gaul. Un atto di eroismo verso un essere appartenente a una razza
sconosciuta, un atto di follia giacché nessuno avrebbe potuto sconfiggere un
tal numero di Gaul. Eppure un atto che aveva portato agli uomini il più grande dei doni.
Come possibile che abbiamo perso la
nobiltà che albergava nell’animo di Baldovar? si chiese tristemente
Kenneth prima di indossare l’elmo.
In
quell’attimo la potenza dell’armatura lo invase, penetrò nella sua mente, nel
suo cuore e in ogni fibra del suo corpo. Estasiato assaporò ogni stilla di
potere. Poi di colpo tutto cessò lasciandolo sgomento e bramoso di ciò che
aveva conosciuto per pochi istanti.
Finalmente sei arrivato,
figlio di Garth. A lungo ti abbiamo aspettato. Io sono colui che presso il tuo
popolo è conosciuto come Astirgatus, proruppe
nella sua mente, prima ancora che si fosse ripreso, una voce antica e profonda.
Astirgatus! Quello era davvero un segnale positivo. Astirgatus il consorte di Sedor, Astirgatus che per primo si era alleato con Boldovar, Astirgatus che aveva loro donato l’armatura magica fatta con il corpo della sua compagna. Astirgatus che era fratello in spirito degli uomini, come cantavano le ballate di Farruck, il cantore della fuga dalla Terra e dei primi anni nel nuovo mondo.
Nobile Astirgatus, replicò
Kenneth speranzoso, il mio animo esulta
nel sentire la tua nobile voce mentre il mio cuore ancora geme per l’orribile
crimine commesso da mio padre contro la tua razza. Ma nonostante la vergogna
che provo per un simile gesto ti devo chiedere di non addossare su tutti noi le
colpe di un singolo. Fin dal nostro arrivo su questo mondo, tu Astirgatus ci
sei sempre stato amico ed è a quest’amicizia che io mi appello in questo che
per noi è il momento di maggior bisogno e ti chiedo di perdonare un folle gesto
e di aiutarci nella battaglia contro la lega oscura.
Io, che primo tra i miei simili
conobbi la nobiltà di Baldovar, replicò con voce mesta il drago, amaramente rimpiango di aver concesso
fiducia al tuo popolo e se non fosse per il ricordo del tuo antenato che ancora vive in me non starei nemmeno a
parlarti o giovane umano. Grandi erano i sogni che i vostri antenati avevano
portato con loro dal vostro mondo e noi di quei di sogni c’innamorammo. Ma dove
sono finiti ora quei sogni? La ferita che tuo padre ha inferto a noi e ai
nostri rapporti con gli umani non potrà mai essere rimarginata completamente, e
questo perché ha finalmente dischiuso i nostri occhi sulla vostra vera natura,
capace di grandi e meravigliosi sogni ma anche di terribili e mostruosi incubi.
Per questo avevamo deciso di abbandonarvi al vostro destino. Ma tuo padre,
quando è giunto da no,i è riuscito a toccare i nostri cuori con il suo sincero
rincrescimento. E per questo noi vi offriamo una seconda possibilità. Nulla
sarà più come prima ma comunque vi aiuteremo nella vostra prossima battaglia.
Ma il nostro aiuto avrà un prezzo. Tre dei nostri piccoli sono stati uccisi,
per noi erano un tesoro prezioso perché la nostra specie dotata di lunga vita e
grande potere non sembra in grado di produrre con la facilità delle altre
specie nuova vita. Per queste tre vite noi vi chiediamo altre tre vite.
L’usurpatore, che fino a pochi giorni fa indossava l’armatura che tu ora
indossi aveva, tre figli, mandaceli e noi vi aiuteremo al passo di Gathyul.
Quelle
parole sussurrate nella sua mente gli gelarono il sangue e lo lasciarono
impietrito. Per qualche istante cercò un modo di controbattere la richiesta dei
draghi ma essa, seppur crudele, era sensata, addirittura ragionevole. Eppure
inaccettabile.
L’unica vita della quale posso
disporre, replicò quindi, è la
mia. Se la volete è vostra.
La nostra richiesta non è oggetto
di contrattazione giovane umano, pensa bene a ciò che stai facendo. Ne va del
destino di tutto il tuo popolo.
Lo so, ma comunque non posso
accettare la vostra richiesta. Prendete me, ripeté, il crimine contro di voi è stato commesso da mio padre, è giusto che
sia a subirne le conseguenze. Questo è tutto ciò che posso offrirvi.
Allora addio, giovane umano, sentenziò
Astirgatus scomparendo dalla sua mente e portando via con sé tutti i poteri
dell’armatura.
Kenneth
rimase per molto più tempo del previsto a osservare le tre lune che
illuminavano il cielo notturno. In lontananza si udivano ancora dei suoni
dall’accampamento, evidentemente non era stato l’unico a decidere di passare
sveglio quell’ultima nottata. L’ultima notte della razza umana. La lega oscura stava per sfondare il passo di
Gathyul e all’alba sarebbe sfociata, come un fiume in pieno, nella valle. Lui e
quel che rimaneva del suo esercito, poco più di tremila soldati, non avevano
speranza. Lui lo sapeva, così come lo sapeva ogni altro uomo presente nella
valle.
Tale
consapevolezza anziché gettarlo nello sconforto gli donava una strana serenità,
costatò mentre infine rientrata nell’accampamento. Nel breve tragitto, per
l’ennesima volta si domandò se aveva fatto bene a rifiutare la richiesta dei
draghi. Ord, l’unico a cui aveva confidato come erano andate in realtà le cose,
pensava di no e lui non poteva dargli torto. Eppure non poteva nemmeno
accettare la richiesta dei draghi. Più volte era stato vicino a cedere alla
tentazione di sacrificare tre vite per il bene del suo popolo, ma sempre gli
tornava alla memoria un discorso che gli aveva fatto suo nonno prima di morire.
Una mattina di primavera lo aveva preso con sé e lo aveva portato in giardino e
aveva iniziato a parlargli.
“Mi
dispiace, Kenneth.” gli aveva detto con voce triste e al contempo solenne.
“Avrei voluto poter vivere ancora per qualche anno in
modo da poter lasciare a te anziché a tuo padre la corona. Non mi fraintendere,
tuo padre non è cattivo, ma è troppo simile a come ero io da giovane. E’
ossessionato dalla gloria ed è convinto che per il bene del popolo qualunque
azione, qualunque prezzo sia giustificato. Non è così, Kenneth. Ricordatelo
bene quando sarai tu a sedere sul trono. Il sovrano porta sulle sue spalle un
fardello pesante e il suo primo dovere è la salvezza ed il benessere del suo
popolo. Ma una civiltà senza valori non è degna di sopravvivere, il tuo primo
dovere in quanto futuro re è dunque quello di salvaguardare i valori, gli
ideali, i sogni della nostra gente, sono questi il cuore del nostro popolo. E
senza di essi possiamo essere vivi, possiamo essere ricchi, possiamo essere
potenti, ma in realtà siamo già morti, siamo dei fantasmi.”
Allora,
aveva appena dieci anni e non aveva capito quelle parole e non le aveva capite
neppure in seguito fino al suo discorso con Ord. Hai un dovere verso il tuo popolo, gli aveva ricordato l’amico, ed
era vero, aveva il dovere di salvare il suo popolo, ma se per salvarlo avesse
sacrificato tre esseri innocenti allora tutto sarebbe stato inutile e dal suo
gesto non sarebbe potuto nascere altro che una distruzione assai peggiore di
quella che avrebbero incontrato quella mattina sul campo di battaglia.
Era
da poco passata l’alba quando i primi nemici uscirono dal passo di Gathyul ed
entrarono nella valle in cui gli umani li aspettavano. Erano i coboldi, come
sempre, a costituire l’avanguardia dell’esercito della lega oscura. Ma erano
tantissimi. In un attimo migliaia di quegli esseri si riversarono fuori dal
passo ed invasero la valle. Kenneth li osservò con rassegnazione. Erano troppi,
pensò, non vi sarebbe stato neppure uno scontro ma un semplice massacro. In
quell’istante la sua armatura riprese vita.
Questa è la tua ultima possibilità
umano – gli disse Astirgatus – accetta
la nostra richiesta o per il tuo popolo sarà la fine.
Per il mio popolo sarebbe la fine
se accettassi la vostra proposta, perché perderemmo la nostra dignità e
rinunceremmo a tutto ciò cui diamo valore. No, aggiunse fieramente, meglio morire con onore che vivere con il
sangue di tre innocenti a gravare sulla nostra coscienza.
Il drago non replicò a quell’ultima affermazione e si ritirò in disparte.
Fu
quando i primi Gaul uscirono infine dal passo che Kenneth sentì le prime urla
dal suo esercito. Dapprima pensò che fossero di paura ma dopo un attimo si
accorse che erano di gioia e di sollievo.
I
DRAGHI! ARRIVANO I DRAGHI!
Kenneth frastornato alzò la testa e il suo sguardo si posò su centinaia di enormi esseri di tutti i colori che con incredibile potenza si libravano nei cieli.
Finalmente! - gli disse
allora con voce grondante di gioia Astirgatus - avevamo perso la speranza che nell’animo della vostra razza fosse
rimasta un po’ della grandezza e della nobiltà che albergava nel cuore di
Boldovar e dei primi umani che conoscemmo, ma alla fine avete dimostrato che
esiste ancora una ragione per combattere al Vostro fianco. Bentornati umani!
In quell’istante, mentre i draghi si lanciavano dal cielo verso i loro mortali nemici, tutto il potere dell’armatura si riversò nel corpo di Kenneth. Per lunghi secondi rimase ad assaporare quell’esaltante sensazione di potere.
Poi,
con grido, si lanciò verso la battaglia guidando il suo popolo verso quella
salvezza che ora, finalmente, non era più un miraggio ma una concreta
possibilità.