ZENGEN VII |
di |
GIANLUCA MARCHESELLI |
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7° classificato al Concorso "Comune di Courmayeur" edizione 1998 - sezione Science Fiction |
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Jeremy Connors, colonnello dell’esercito gamiliano, in
missione sotto le spoglie del maggiore dell’esercito litoriano Robert Forman,
entrò con passo deciso nella sala-osservatorio dell’astronave Exodus III.
Almeno tre dozzine di persone erano presenti nell’ampia sala
circolare, ed altre sicuramente ne sarebbero arrivate; quello d’altronde era,
per quasi totalità tutti, il solo aspetto interessante del trasferimento su
Zengen VII; tutto il resto non sarebbe stato altro che noia ed isolamento.
Sedendosi Forman si soffermò ad osservare lo spazio che
stavano attraversando. Nonostante avesse compiuto talmente tanti viaggi da non
ricordarne neppure più il numero, non riusciva ancora ad abituarsi alla
splendida bellezza dell’universo, che in questo caso veniva esaltata dalla
cupola di cristallo mareshano, assolutamente trasparente ed invisibile, sotto
cui si trovava. Aveva quasi l’impressione di stare fluttuando, senza alcuna
protezione, nel vuoto galattico. Un’esperienza, che a suo parere, da sola
valeva tutti i pericoli che la missione avrebbe comportato.
Ed a rendere il tutto davvero unico vi era quel globo di luce
verdastra ed iridescente, che offuscava le lontane stelle, verso cui si stavano
dirigendo.
Il primo tunnel spazio-temporale era stato scoperto
milleduecento anni prima, a trentasei anni luce dalla Terra. Tramite un balzo
di ventiseimila anni luce esso condusse l’uomo nel quadrante Y345 dove nel
tempo si svilupparono la Repubblica di Gamil, l’Impero di Litor, l’Impero di
Vega e la Confederazione fromense.
Nei successivi dodici secoli solo altri due tunnel,
nonostante le incessanti ricerche, vennero scoperti. Del primo, a causa del
completo isolamento in cui da più di cinque secoli erano immersi i pianeti
veghiani, si sapeva ben poco a parte il fatto che era stato scoperto nello
spazio veghiano, nelle vicinanze del sistema di Kollos, e che conduceva
lontano, molto lontano. Il secondo invece era stato scoperto solo settanta anni
prima nello spazio litoriano e tramite un balzo di oltre ottantamila anni luce,
in direzione del centro galattico, conduceva al quadrante, ancora quasi
totalmente inesplorato, in cui si trovava la base Nautilus III su Zengen VII.
Sin da quando era trapelata la notizia della scoperta del
tunnel, questo era stato oggetto di grandi discussioni all’interno delle più
alte sfere della gerarchia militare di Gamil. I più ottimisti erano convinti
che questo sbocco verso un nuovo quadrante avrebbe drasticamente ridotto lo
spinta espansionistica dei litoriani che da secoli minacciava ormai sia Gamil,
che Fromen che la stessa Terra. La maggior parte degli analisti era peraltro
convinta che i litoriani avrebbero utilizzato quel lontano settore per portare
avanti, nel più assoluto riserbo, ricerche da utilizzare poi contro i loro
storici nemici.
Solo di recente tuttavia erano cominciate a trapelare voci
che sembravano confermare le più fosche previsioni.
Forman fu riscosso dai suoi pensieri dall’ingresso nella sala
della dottoressa Elaine Williams e dell’ingegnere John Legen, entrambi, come
lui, infiltrati gamiliani. Con i due
scambiò solo un fugace cenno di saluto; tutto ciò che c’era
da dire sulla missione era già stato detto ed ora non restava altro che sperare
che tutto andasse secondo i piani, cosa che peraltro l’esperienza gli aveva
insegnato raramente accadeva.
- Tempo di accesso al tunnel cento secondi - annunciò una
voce femminile sintetizzata - i passeggeri sono pregati di sedersi e di
allacciarsi le cinture di sicurezza.
Mentre il maggiore si ancorava alla poltroncina alcuni
passeggeri inghiottirono alcune piccole pastiglie verdi a base di kalkarite,
una droga allucinogena proveniente dalla confederazione fromense, che si diceva
riuscisse ad interagire con gli strani effetti che il tunnel provocava alla
mente umana.
La bocca del tunnel nel frattempo si fece sempre più grande
fino a diventare un enorme astro verdastro in cui la minuscola sagoma della
Exodus scomparve in un istante.
Il viaggio attraverso il tunnel durò diciotto ore, ma al
maggiore Forman sembrò che fossero passati solo pochi minuti quando ne riemerse alquanto stordito, con il
vago ricordo di avventure, incontri ed amori mai vissuti ma che forse sarebbero
potuti avvenire se certe decisioni da lui prese in passato fossero state
diverse. Non era un fenomeno strano per i viaggiatori dei tunnel spaziali,
anche se nemmeno troppo frequente, e per un istante Forman si chiese cosa
avessero provato i passeggeri che avevano assunto la kalkarite.
- Il transito attraverso il tunnel spazio-temporale è
avvenuto con successo - annunciò dopo alcuni minuti la voce sintetica di bordo
spegnendo immediatamente il brusio che si era diffuso nella cupola - Ci
troviamo nel quadrante XF456, ad ottantamilacentotrentasette anni luce dalla stella di
Litor. Tempo di attracco previsto alla stazione New Horizons: sei minuti e
diciotto secondi. I passeggeri sono pregati di rimanere seduti e di allacciarsi
le cinture di sicurezza.
La stazione New Horizons era un planetoide artificiale, con
un diametro di circa tre chilometri, che presidiava quel lato del tunnel, così
come la Infinity proteggeva l’altro. Dotata di una potenza di fuoco
straordinaria, era in grado di difendersi dall’assalto congiunto di una dozzina
di incrociatori di classe Continental. Per il successo della missione, pensò per
la millesima volta Forman mentre la Exodus veniva inghiottita dal planetoide
metallico brulicante di luci, era vitale che al momento della fuga tutta quella
potenza di fuoco non fosse disponibile.
I duecentosedici passeggeri destinati alla stazione Nautilus
III rimasero sulla New Horizons per diciotto ore; il tempo necessario affinché
tutti si riprendessero completamente dal balzo compiuto e gli agenti della
sicurezza controllassero l’identità ed il bagaglio di ognuno, come peraltro che
era già stato fatto sulla Infinity.
Alla fine di tutti quegli estenuanti controlli i passeggeri
furono fatti imbarcare su una nave nera ed affusolata, di classe Vojager,
avente per destinazione il sistema zenghiano.
Alla velocità di crociera di 0,36 volte la velocità della
luce il viaggio richiese cinque giorni, che la spia gamiliana cercò di
utilizzare per riposare. Dubitava infatti che una volta su Zengen avrebbe avute
molte altre occasioni per farlo. Mille dubbi tuttavia iniziarono a tormentarlo
sin dal secondo giorno di viaggio; la dott.ssa Williams sarebbe
riuscita a disattivare la mente sintetica della New
Horizons?, ed i pochi milligrammi di cristallo veghiano che
erano riusciti a portare con loro sarebbero stati sufficienti
a Legen per costruire il motore Vojsov?, e William Horlock avrebbe accettato di
cooperare con loro?
Fu quindi con un certo sollievo che accolse, quando arrivò,
la comunicazione che stavano finalmente entrando nel sistema zenghiano. Zengen
VII era un enorme pianeta, interamente roccioso, completamente privo di
atmosfera e tanto lontano dalla sua stella da presentare in superficie una
temperatura media di -118 gradi centigradi. Su di esso sorgeva l’unica base
fissa litoriana nel quadrante.
Mentre l’astronave iniziava l’avvicinamento al pianeta Forman
osservò con attenzione la stazione Nautilus III, una grigia struttura
metallica, simile ad un enorme ragno, che deturpava il piatto panorama
zenghiano.
Pochi minuti dopo l’atterraggio su un’enorme piattaforma
collocata al centro della base, il maggiore entrò in un ascensore che lo
condusse nel sottosuolo del pianeta dove si sviluppava la quasi totalità della
stazione; anche se forse, pensò, sarebbe stato più appropriato definirla
prigione, sia per i quarantadue criminali che vi erano segregati, sia per le
oltre millecinquecento persone, scienziati, militari e tecnici che vi
lavoravano.
All’uscita dall’ascensore, lui e le altre diciannove persone
che erano sbarcate per prime, furono accolte da un gruppo di militari, avvolti
nella nera divisa litoriana, che li perquisirono e ne controllarono, per
l’ennesima volta, i documenti.
- Lei è il maggiore Forman, signore ? - gli chiese il giovane
ed alto tenente cui aveva consegnato la sua piastra identificativa.
- Si
- Mi segua, signore - disse portandosi il pugno al cuore in
segno di saluto verso un superiore - il generale Kovancic la sta aspettando.
Forman seguì il tenente, allontanandosi dal resto dei
passeggeri, lungo una serie di corridoi. L’ambiente, notò, era pulito ed
ordinato, ma risultava estremamente freddo, forse a causa delle bianche luci al
neon che costituivano l’unica illuminazione, o forse per la mancanza delle
piante e degli ologrammmi murali, generalmente presenti nelle basi di quel
tipo. Dopo alcuni minuti entrarono in una cabina-trasportatore.
- Sezione tre - disse
il tenente al computer della cabina mentre lui ed il maggiore si sedevano uno
di fronte all’altro.
- Come si chiama tenente ? - chiese Forman.
- John Shearer, signore
- E com’è la vita tenente su questa base ?
- Più che soddisfacente, signore.
- Davvero ?
- Si, signore.
- Avanti, signor Shearer, non abbia paura e mi dica la
verità, com’è la vita qui su Zengen?
- E’ noiosa, signore. Qui non accade mai nulla, siamo
tagliati fuori dal resto dell’universo ed è perfino difficile comunicare con le
nostre famiglie.
- Capisco - replicò Forman.
Alcuni istanti più tardi la cabina si fermò e le porte si
aprirono. Shearer guidò il maggiore lungo una serie di corridoi diritti, puliti
ed assolutamente spogli. Si
fermarono davanti ad una porta metallica su cui era applicata
una targa dorata. Il tenente premette quindi il bottone rosso posto a fianco
della porta.
- Si ? - chiese il volto di un uomo comparso sullo schermo
olografico della porta.
- Il maggiore Forman, signore - replicò il tenente.
- Bene tenente, torni pure ai suoi compiti. Maggiore Forman
prego si accomodi.
La porta subito dopo si aprì e Forman entrò nell’alloggio del
generale Kovancic, che risultò ben diverso da quanto aveva fin lì visto della
base. Morbidi tappeti sul pavimento, arazzi olografici alle pareti, scaffali
ricolmi di libri, luci soffuse, un’elegante scrivania, probabilmente in
verolegno, due eleganti divani in pelle posti intorno ad un tavolinetto,
persino qualche pianta.
Il generale Kovancic, un uomo enorme, alto quasi due metri,
decisamente sovrappeso e quasi completamente calvo, gli venne incontro con
passo deciso.
- Benvenuto maggiore - esordì stringendogli vigorosamente la
mano.
- Lieto di conoscerla generale
- Venga - riprese subito Kovancic muovendosi verso i due
divani - lasci che le presenti il colonnello Carlos Estevel.
Un uomo, decisamente più piccolo ed esile di Kovancic, si
alzò da uno dei divani e venne loro incontro.
- Benvenuto maggiore - esordì senza porgerli la mano.
Forman replicò con un cenno del capo sentendo di provare
un’immediata antipatia verso quell’ufficiale dal volto
angoloso, cui due radi baffetti davano un aspetto viscido e pericoloso.
- Vuole un sigaro maggiore ? - chiese Kovancic porgendogli
una grossa scatola di legno - Avanti non abbia riguardi. Sono davvero ottimi,
fatti con il migliore tabacco kulashiano.
- Sa maggiore, siamo davvero lieti del suo arrivo - riprese
quindi il generale mentre Forman si accendeva con lunghe boccate il grosso
sigaro - Da quando se n’è andato il maggiore Verliger, il suo predecessore, io
ed Estevel siamo stati letteralmente sommersi dal lavoro essendo gli unici due
alti ufficiali della base.
- Com’è la situazione a proposito? - chiese Forman
interrompendo il monologo del generale.
- Oh, qui è tranquillo. Certo, la maggior parte del
contingente è costituita da giovani di leva senza nessuna esperienza e nessun
addestramento oltre a quello di base e questo non può che causare qualche
problema oltre che far ricadere gran parte delle responsabilità sulle nostre
spalle. Ma d’altronde siamo pagati proprio per questo, anche se male - concluse
abbandonandosi ad una fragorosa risata.
- Il vero problema è la noia - riprese subito dopo - Sulla
stazione c’è poco da fare, le giornate sono tutte uguali, le comunicazione con
il resto dell’universo lente e difficoltose. In pratica siamo isolati ed
abbandonati a noi stessi. Ma non mi fraintenda, la vita qui su Zengen non è poi
così male, bisogna solo farci l’abitudine.
- Lei ha detto che la stazione è tranquilla, signore -
azzardò Forman - Questo vale anche per Horlock?
- Come mai maggiore tanto interesse per Horlock? -
s’intromise Estevel.
- Avanti Carlos - replicò il generale prima che Forman
potesse dire alcunché - è naturale che il maggiore sia
interessato a William Horlock, il più grande criminale
dell’universo! - terminò scoppiando in nuova possente risata che non riusciva
tuttavia a mascherare un evidente nervosismo.
- Ed ha ben ragione ad essere interessato e preoccupato al
riguardo - riprese improvvisamente serio - Horlock non è un uomo ma una bestia.
Per il genere umano sarebbe stato meglio se fosse stato condannato a morte; ma
i suoi poteri mentali interessano troppo perché lo si possa eliminare prima che
...
- Generale - s’intromise Estevel - credo che il maggiore sia
sicuramente stanco per il lungo viaggio e desideroso di sistemare le sue cose
nel suo alloggio, oltre che di riposare. Sicuramente ci sarà tempo domani per
informarlo dei problemi relativi alla stazione, non trova ?
- Oh, ma certo Estevel, ha sicuramente ragione - rispose
Kovancic alzandosi dal divano e dirigendosi verso il videotelefono con cui
chiamò un giovane militare affinché accompagnasse Forman al suo alloggio.
- Vedo che Lei gioca a scacchi, signore - constatò Forman
nell’accomiatarsi, lanciando uno sguardo alla scacchiera posta sul tavolino al
centro della stanza.
- Si, gli scacchi sono una mia grande passione. Lei sa
giocare maggiore ?
- In effetti si, anche se non molto be...
-Ma che fortuna - lo interruppe Kovancic con un’espressione
estatica sul volto - al giorno d’oggi è davvero raro trovare qualcuno che
apprezzi questo straordinario gioco. Spero che mi verrà offrire l’opportunità
di sfidarla?
- Sarà un vero piacere - rispose il maggiore.
- Oh, bene. Sa sono davvero stufo di perdere in continuazione
da quel dannato computer! - concluse il generale dandogli una poderosa pacca
sulle spalle.
Quella sera, nella sua stanza, mentre ascoltava musica
fromense, Forman si ritrovò a pensare agli eventi della giornata con un misto
di apprensione ed entusiasmo. Il primo sentimento era generato da ciò che
Kovancic, a causa dell’intromissione di Estevel, non aveva terminato di dire al riguardo di
Horlock ma che lui gli aveva letto chiaramente nella mente: su Horlock si
stavano effettuando degli studi genetici al fine di scoprire la natura dei suoi
poteri. E giacché i metapsichici operanti non erano certo una novità, né per
Gamil (lui stesso ne era una dei migliori esempi) né per Litor, il fatto che il
ribelle fosse stato mantenuto in vita per essere studiato anziché giustiziato
costituiva una chiara conferma alle voci che attribuivano ad Horlock poteri
mentali davvero straordinari.
Conseguentemente giunse alla conclusione che la sua missione
era ben più importante di quanto avesse supposto in un primo momento; era
addirittura di vitale importanza per la repubblica gamiliana che quegli studi
su Horlock finissero o con la liberazione del ribelle .... oppure con la sua
morte.
Dopo aver conosciuto Kovancic, Forman era però propenso a
puntare sulla prima possibilità. Quell’uomo era un vero stupido, ben più di
quando non comparisse dalle note che gli erano state fornite dai servizi
segreti gamiliani. E per di
più vi era quella passione per gli scacchi che, non ne aveva
dubbi avendo chiaramente avvertito l’eccitazione del generale, gli avrebbe
fornito l’occasione per passare molte ore con lui.
La mattina dopo Forman fu accompagnato da Estevel in una
visita alla stazione.
- Come saprà - esordì l’ufficiale una volta arrivati al quarto livello in cui
erano collocati i prigionieri - la stazione ospita quarantadue detenuti. Per la
maggior parte si tratta di rampolli di nobili famiglie che si è ritenuto
potessero essere più utili per l’Impero da vivi che non da morti. Si tratta di
gente arrogante ma non pericolosa. L’unica vera eccezione è costituita da
Horlock. Ieri era molto curioso al riguardo, ho notato - proseguì con un
sorriso sardonico - quindi la prego di seguirmi in modo che le possa far
ammirare l’oggetto del suo interesse.
Con passi decisi Estevel si avvicinò ad una porta che, in
seguito alla pressione di un pulsante, divenne completamente trasparente.
La prima cosa che Forman notò fu lo squallore della cella in
cui erano visibili solo un letto, un tavolo ed una sedia su cui giaceva,
irrequieto, un uomo. Questi, non appena lo sguardo del maggiore si posò su di
lui, si alzò di scatto e si girò verso la porta. Era un gigante, alto quasi due
metri e mezzo, largo di spalle, con un’enorme criniera di lunghi capelli
ribelli ed una folta barba nera che ricopriva gran parte del viso. Ciò che più
colpì però la spia gamiliana furono gli occhi del prigioniero, completamente
spiritati, che sembravano confermare le voci circa la pazzia di Horlock.
- Lo guardi maggiore, lo guardi bene - intervenne Estevel -
Quest’uomo, ammesso che lo si possa definire tale, è il famoso William Horlock,
il ribelle di Arakens. Come avrà
certamente notato è pazzo, completamente pazzo e
sfortunatamente molto pericoloso. La natura gli ha fornito dei poteri psi
davvero straordinari, che però purtroppo sembrano averne minato la salute
mentale.
- Nei primi sei mesi - continuò - della sua prigionia qui su
Zengen ha ucciso dodici soldati: due a mani nude, sei bruciandone le menti ed
inducendo gli altri quattro al suicidio. Inoltre ha tentato tre volte la fuga:
una volta assumendo il controllo di un giovane cadetto, un’altra fondendo,
ancora oggi non so come, la porta della cella, e la terza assumendo addirittura
il controllo del computer centrale. E la cosa più incredibile è che, nonostante
avessimo settato i dispositivi rilevatori di energia psichica ai più bassi
livelli possibili, compatibilmente con un ambiente abitato da millecinquecento
persone, in nessuno di queste circostanze gli allarmi hanno segnalato qualcosa.
Fortunatamente ora lo conosciamo meglio grazie, agli studi fin qui compiuti, e
siamo riusciti ad istallargli nella corteccia celebrale un microchip che lo
costringe a rotolarsi sul pavimento ogni volta che tenta di usare i suoi
poteri. Ma guardi - concluse estraendo da una tasca un oggetto simile ad un
telecomando e premendone poi un tasto
Subito Horlock si accasciò al pavimento in preda a
terrificanti convulsioni e ad urla disumane. Il colonnello litoriano prolungò
la tortura per alcuni secondi, con sadico piacere constatò Forman notandone il
ghigno soddisfatto.
- Inoltre - aggiunse una volta terminata la tortura - quel
microchip è programmato per esplodere qualora Horlock
lasciasse la base senza prima averlo disinserito, e questo sembra aver fatto
passare “al nostro amico” la voglia di lasciarci.
- Ma venga - proseguì - qui abbiamo finito. Adesso le
mostrerò il settore scientifico.
- Come si può disinserire il chip di Horlock?- chiese più
tardi, in quella mattinata, il maggiore ad Estevel.
Questi lo guardò per alcuni istanti con sospetto.
- E’ necessario inserire nel computer un codice che conosce
solo il generale Kovancic - si decise quindi a dire.
Quella sera, verso le sette in base all’ora standard
litoriana, che veniva usata anche sulla stazione, Forman fu invitato da
Kovancic nel suo appartamento per la concordata partita a scacchi. Dopo una
breve cena i due si sedettero su due comode poltrone in similpelle ed
iniziarono a posizionare i pezzi su un’elegante scacchiera bianco-blu.
Kovancic scelse i bianchi ed aprì con una mossa standard.
Dopo alcuni minuti Forman iniziò a sondare delicatamente gli strati
superficiali della psiche del generale percependo la sua passione, quasi
maniacale, per quel gioco obsoleto e quasi dimenticato dalla faccia
dell’universo. Era davvero felice - constatò - di avere trovato un partner
umano e decise di assecondare la sua speranza di trovare in lui un avversario
abile, ma non troppo.
Il maggiore iniziò quindi un gioco molto aggressivo, che mise
in grossa difficoltà il generale per oltre due ore, salvo poi concedergli una
lenta, ma spettacolare ed
esaltante, rimonta.
Fu solo al termine della rimonta, nel momento di massima
concentrazione del suo avversario, che incominciò a sondarne
seriamente la mente, iniziando il lento e pericoloso lavoro
che sperava gli avrebbe rivelato il modo per liberare Horlock.
Verso la mezzanotte il generale riuscì finalmente a dargli
scacco matto. Forman aveva lavorato per oltre tre ore su di lui, senza riuscire
a scoprire nulla di interessante. Non se la prese troppo però sapendo che presto
il generale gli avrebbe fornito nuove occasioni per continuare la ricerca.
Quella stessa notte Forman decise, pur sapendo quanto questo
potesse essere rischioso, di provare a contattare Horlock.
Con grande attenzione protese quindi un sottilissimo
tentacolo di energia verso la stanza in cui era detenuto il ribelle.
Immediatamente però fu investito da una violentissima scarica di energia, che
fortunatamente si interruppe quasi subito. Gli ci vollero alcuni minuti per
riprendersi completamente dallo shock e per rendersi conto che Horlock era più
potente di quanto avesse mai potuto supporre e che se era ancora vivo doveva
ringraziare il chip inserito nella mente del ribelle.
Horlock, si trovò a pensare mentre si infilava sotto le
coperte con un gran mal di testa, costituiva davvero un grosso problema di cui
non sarebbe stato facile venire a capo.
I successivi otto giorni trascorsero per il maggiore senza
grandi cambiamenti: sveglia alle sette, dalle otto alle diciotto lavoro, alle
diciannove appuntamento nella camera del generale per la consueta sfida a
scacchi.
Una sera Forman si tolse lo sfizio di battere il generale, il
che provocò in Kovancic un ancora maggior coinvolgimento nel gioco. Tuttavia,
nonostante i suoi numerosi tentavi, il gamiliano non era ancora riuscito ad
ottenere nulla dal generale e questo cominciava a preoccuparlo non poco.
Apparentemente sembrava che la mente dell’ufficiale litoriano fosse come un
libro aperto ma ciononostante non riusciva a trovarvi ciò che cercava.
Al decimo giorno della
sua permanenza su Zengen tentò un esame un po' più energico del solito ed alla
fine riuscì a trovare una zona della psiche del suo avversario protetta contro
incursioni esterne. Tentò di forzare il blocco - probabilmente di origine
ipnotica - senza grande successo per quasi due ore, più volte spingendosi fino
al limite oltre il quale temeva di far scattare gli allarmi dei rilevatori di
attività psi. Alla fine, esausto, si arrese. Lasciò che il colonnello vincesse
la partita e si infilò subito dopo a letto.
Pur non essendo riuscito ad infrangere il blocco era comunque
soddisfatto per averlo scoperto. E poi -
pensò prima di addormentarsi - mancano
ancora venti giorni al momento concordato con la dott.ssa Williams.
La sera successiva, tuttavia, mentre si accingeva a recarsi
dal generale, ricevette una chiamata da questi.
- Mi dispiace maggiore - gli disse con tono serio - ma
improvvisi impegni mi obbligano a sospendere per alcuni giorni le nostre
partite. Perché non ne approfitta - concluse ridendo - per far un po' di
allenamento con il computer ? Ieri sera l’ho vista un po' giù di forma.
Possibile
che si sia accorto di qualcosa ieri sera? No, è assurdo, pensò
Forman, e poi se si fosse accorto di ciò
che stavo facendo non si sarebbe certo limitato a sospendere le partite.
Approfittando dell’inaspettato tempo libero decise quindi di
fare un po' di attività fisica. Indossata una tuta aderente ed un paio di
scarpe da jogging, uscì dalla sua stanza e si infilò nella prima
cabina-trasporatore che trovò libera. Arrivò in una decina di minuti alla
palestra della base. Ne aveva sentito parlare da molti giovani sottoposti come
di una vera meraviglia, ma fino ad allora non aveva ancora potuto visitarla.
Nonostante le voci tuttavia non era preparato allo spettacolo
che si ritrovò davanti. La palestra infatti era situata sulla superficie del
pianeta, anziché nell’interno, ed era protetta da una cupola trasparente di
cristallo mareshano.
La palestra era completamente deserta e Forman decise allora
di spegnere le luci ed incominciò a correre sul lungo anello della pista
illuminato solo dalle stelle aliene che brillavano in quello strano cielo.
Totalmente immerso nei cupi pensieri relativi ad Horlock, che
dopo quel primo e fallimentare tentativo non aveva più cercato di contattare,
non si accorse che era arrivata un’altra persona fino a quando non andò a
sbattervi contro.
- Mi scusi - iniziò Forman a metà strada tra lo stupito e
l’imbarazzato.
- Non si preoccupi - rispose la giovane donna cui era andato
addosso - sono cose che possono accadere, specie quando si corre in questa
romantica penombra.
Per un breve istante il maggiore rimase ad osservare la donna
di cui aveva studiato la scheda personale nei giorni precedenti. Alta e dal
fisico atletico, con lunghi capelli biondi ed occhi verdi smeraldo, la dott.ssa
Alicia Goldin era la più giovane scienziata della base. La fortuna si rese
conto sembrava proprio essere dalla sua parte.
- Sono davvero un maleducato - riprese quindi porgendole la
mano - non mi sono nemmeno presentato. Sono il maggiore Robert Forman.
- Alicia Goldin - rispose lei con un radioso sorriso.
- E’ un vero piacere conoscerla dottoressa.
- Lei sa chi sono ? - domandò lei leggermente imbarazzata.
- Naturalmente, se non sbaglio lei è la più giovane, e
sicuramente la più avvenente, degli scienziati della base.
- Cosa facciamo maggiore? - replicò lei rossa in volto per il
complimento - riprendiamo a correre?
- Ma certo.
Si allenarono insieme per quasi un’ora, durante la quale
Forman tentò inutilmente di carpirle qualche informazione in merito agli studi
che si stavano conducendo nel settore scientifico. Alicia aveva però una mente
forte e ben addestrata, anche se priva di poteri psi, e non gli rivelò nulla di
interessante salvo il fatto che lo trovava attraente.
Pur detestandosi per quello che stava per fare decise allora
di approfittare di questo interesse della donna nei suoi confronti
accentuandolo in modo deciso.
Finito l’allenamento invitò la dottoressa a cena nel
ristorante della stazione e dopo nel suo appartamento. Alicia rifiutò
inizialmente questo secondo invito, ma Forman
intervenne nuovamente sulla sua mente attenuandone le paure e
le inibizioni indotte dalla rigida educazione che aveva ricevuto, e la giovane
donna non seppe più trovare la forza per rifiutare la sua proposta.
Si rivelò un’amante focosa ed appassionata, oltre che molto
più disinibita di quanto il suo atteggiamento timido gli avesse fatto supporre.
Una volta che si fu addormentata tornò quindi a sondarne la mente, dapprima
delicatamente e poi con tutta l’energia psichica che poteva permettersi di
usare senza correre rischi. Nonostante però la Goldin si trovasse in uno stato
di sonno profondo non riuscì ad ottenere nessuna informazione in merito
all’attività scientifica della base.
La mattina seguente Estevel informò Forman che il generale
Kovancic era andato a visitare un vicino pianeta e sarebbe tornato solo dopo alcuni giorni.
Questo
contrattempo davvero non ci voleva si ritrovò a pensare la spia
centinaia di volte durante quella giornata. Tuttavia i suoi pensieri finirono
spesso per soffermarsi anche su quanto aveva fatto la sera precedente ad
Alicia. Fino ad allora non aveva mai usato i suoi poteri per portarsi a letto
una donna, ed anche se sapeva di essere pienamente giustifico dalle circostanza,
non poté evitare di sentirsi sporco.
Più volte in quel pomeriggio fu sul punto di contattare la
Goldin per disdire l’appuntamento che si erano dati per la serata. Tuttavia non
riuscì a farlo, sia perché le informazioni che avrebbe potuto ottenere dalla
donna potevano rivelarsi determinanti per il futuro di miliardi di persone, sia
perché era rimasto a sua volta affascinato da quella graziosa scienziata e
provava un forte desiderio di rivederla.
E quella sera Alicia si presentò al ristorante avvolta in un
elegante abito da sera verde smeraldo, che si intonava perfettamente al colore
dei suoi occhi, e che la fece apparire ancor più bella agli occhi del maggiore.
Per tutta la cena parlarono della loro giovinezza e di come erano giunti fin
lì. Alicia gli racconto di come era rimasta orfana di entrambi i genitori
all’età di dieci anni, sorvolò con poche parole sugli anni trascorsi
all’orfanotrofio - che dovevano essere stati tutt’altro che piacevoli, giudicò
il maggiore sulla base dei ricordi che involontariamente lei gli trasmise - e
passò poi a descrivere la sua passione per l’ esobiologia grazie a cui era
riuscita ad affrancarsi dal triste destino che in genere toccava agli orfani
litoriani.
Finita la cena si trasferirono nuovamente nell’appartamento
dell’uomo e si abbandonarono più volte l’uno all’altra. Quando finalmente
Alicia si fu addormentata Forman riprovò, pur con qualche imbarazzo, a sondarne
la mente. Anche stavolta però non ebbe successo e dopo numerosi tentativi si
addormentò a sua volta.
Nel dormiveglia si accorse che qualcosa non andava per il
verso giusto. Cercò di muoversi ma non ci riuscì. Con uno sforzo di volontà
richiamò allora la propria coscienza ed aprì gli occhi.
Era nella stanza, legato per le braccia alla spalliera del
letto. Alicia era in piedi, mezza nuda, a pochi metri da lui con in mano una
frusta neuronica.
- Bene, finalmente ti sei svegliato - gli disse fissandolo
negli occhi per alcuni secondi. Poi si voltò e si diresse
verso la sua scrivania. Aprì la scatola dei sigari che gli Kovancic gli aveva
regalato e se ne accese uno. Per alcuni minuti rimase seduta sulla scrivania,
tirando lunghe boccate dal sigaro, senza dire nulla e limitandosi a fissarlo.
- Chi sei veramente ? - gli chiese, finalmente, alzandosi.
- Cos’è questo, Alicia, un gioco ? Se lo è devo dirti che non mi piace per nulla -
replicò lui cercando di amplificare con i propri poteri il senso di colpa della
donna.
Subito nella stanza risuonò un allarme. Alicia lo fissò con
disgusto, tirò un’altra boccata dal sigaro e poi puntò verso di lui la frusta
che teneva nella mano sinistra.
- Devi smetterla di prendermi in giro, Robert - gli disse con
voce mesta prima di azionare l’arma.
Il maggiore iniziò immediatamente a dibattersi come in preda
a convulsioni, mentre la sua mente veniva davastata da un’ondata di dolore.
- Ho aumentato il livello di sensibilità dei rilevatori
antipsi della stanza - gli disse la Goldin una volta che lui si fu ripreso
abbastanza da poterla ascoltare - Questa volta con la frusta neuronica ci sono
andata leggera, ma ti garantisco che la prossima volta che tenterai di
influenzarmi con i tuoi poteri non sarò altrettanto gentile. Ed adesso
ricominciamo dal principio: chi sei tu veramente?
Chi è
davvero questa donna? si ritrovò a domandarsi per alcuni lunghi istanti il
gamiliano, un agente del controspionaggio
litorniano? Se è così tutto è perduto, ma se non lo è cosa posso fare ?.
Fu seriamente tentato di impadronirsi della mente di Alicia.
Valutò attentamente la possibilità di riuscirci prima che la donna se ne
accorgesse e mettesse in atto la sua
minaccia. Avrebbe potuto farcela, concluse, ma solo rischiando di fare scattare
tutti gli allarmi antipsi della base.
Decise quindi di dire alla donna la verità e vedere come lei avrebbe
reagito. Se le cose si fossero messe male avrebbe potuto sempre eliminarla ...
prima di uccidersi a sua volta.
- Il mio vero nome è Jeremy Connors. Sono un gamiliano, e
sono stato inviato qui per liberare Horlock e, se possibile, scoprire quello che sta succedendo in questo
quadrante. Ed adesso che sai la verità cosa farai?
Lei lo guardo con odio e Forman rimase stupito nello scoprire
quanta rabbia sapesse esprimere il volto normalmente dolce di Alicia.
- Sei un bastardo - gli disse lei, tirando subito dopo
un’altra boccata dal sigaro ormai fumato per metà - per quale ragione al mondo
non dovrei correre dal colonnello Estevel e rivelargli la verità sul tuo conto?
La donna stessa con un violente flusso di desiderio gli
suggerì la risposta.
- Se mi aiuterai ti porterò via con me, lontano da questa
prigione e dall’impero litoriano.
Alicia accolse la risposta con un sorriso e Forman percepì
chiaramente la sua soddisfazione. Il suo sguardo si fece però immediatamente
nuovamente duro.
- D’accordo - disse espirando lentamente il fumo grigiasto
del sigaro - ma prima ti devo ringraziare per quello che mi hai fatto in questi
giorni.
Senza aggiungere altro portò al massimo la leva che regolava
la potenza della frusta e ne premette nuovamente l’interruttore.
Quando riprese i sensi Forman scoprì di non essere più legato
e che la Goldin se n’era andata. Aveva tutto il corpo dolente e la mente in
fiamme ma con uno sforzo si alzò e lanciò un’occhiata alla sveglia. Dannazione, è quasi ora di alzarsi, pensò.
La giornata passò in fretta, senza eccessivi problemi e senza
che si avessero notizie di Kovancic.
Arrivato al suo
appartamento, quella sera desiderava solo prendere qualcosa contro il mal di
testa ed infilarsi nel letto, ma ad attenderlo c’era la dott.ssa Goldin, seduta
su una poltrona ed intenta a leggere un libro. Indossava un’aderente tuta blu
scuro e non sembrava essersi portata dietro la frusta neuronica, notò Forman.
- Come sta Robert ?- domandò - o preferisci che ti chiami
Jeremy ?
- Robert andrà benissimo, finché saremo su questa base -
replicò lui dirigendosi al sintetizzatore ed ordinando un bicchiere di vodka.
- Come stai ? - chiese lei nuovamente.
- Non troppo male, considerato quello che ho subito.
- Se ti aspetti delle scuse al riguardo puoi anche
scordartele! Avevo tutto il diritto di fare quello che ho fatto. Anzi dovresti
essere tu a scusarti, quello che mi hai fatto non è molto differente da uno
stupro.
- Hai ragione - replicò lui mestamente - e non ho alcun
problema ad ammetterlo ed a scusarmi. Ma se pensi che mi sia divertito a farlo,
ti sbagli. Ho fatto solo quello che doveva essere fatto.
Alicia lo guardò per alcuni istanti con grande intensità,
come per scrutare dentro la sua anima.
- D’accordo - gli disse infine - per quanto mi riguarda la
vicenda è chiusa. Ora però voglio sapere come intendi liberare Horlock e come
pensi di portarmi lontano da Litor.
Forman l’accontentò, omettendo solo alcuni piccoli
particolari, dopodiché iniziò ad interrogarla circa le attività di ricerca che
lei e i suoi colleghi stavano conducendo. La notizia che, su un pianeta
distante tre anni luce, erano stati rintracciati i resti di un’antica civiltà e
che Kovancic era là e non sarebbe tornato prima di una settimana, fece naturalmente sbottare il gamiliano in
una lunga sequela di imprecazioni. Il suo umore tuttavia si risollevò quando
Alicia gli disse che gli studi su Horlock non erano per nulla a buon punto.
Fino ad allora gli scienziati non erano riusciti a scoprire quasi nulla
sull’origine dei suoi poteri. E lei inoltre si dichiarò convinta di poter
distruggere, prima della partenza, tutti gli esperimenti che i suoi colleghi
stavano conducendo sulle cellule prelevate dal cervello del ribelle.
I sette giorni che seguirono sembrarono non passare mai per
la spia gamiliana stretta nel morso dell’impotenza. Mille dubbi e paure inoltre
lo tormentavano. Kovancic sarebbe tornato? E lui sarebbe riuscito col poco
tempo rimasto ad ottenere il codice necessario per liberare Horlock? E come se
la stava cavando Elaine sulla Horizons? Sarebbe riuscita a mandare in tilt il
sistema informatico della base per il
momento prefissato?
In compenso in quella settimana trovò finalmente il coraggio
per contattare nuovamente Horlock. Questa volta il ribelle non lo attaccò e
così riuscì a spiegargli, seppur sommariamente, la sua missione ed il suoi
piano. Horlock accettò di fuggire con lui e si impegnò, se possibile, ad
aiutarlo.
Kovancic ritornò su Zengen con due giorni di ritardo rispetto
a quanto previsto; due giorni che per Forman sembrarono non passare mai. La
prima cosa, comunque, che fece il generale una volta tornato, fu di chiamare
Forman per una delle loro “famose” partite.
Il gamiliano tirò un sospiro di sollievo e si diresse con
passo deciso verso l’alloggio del suo superiore. Durante quel tragitto si rese
conto comunque che erano già passati ventitre giorni dal suo arrivo sulla
stazione Nautilus e che quindi gliene rimanevano solo sette all’ora X fissata
con la dott.ssa Williams. Se voleva liberare Horlock doveva agire con maggiore
decisione rispetto al passato, decise quindi mentre entrava nell’alloggio del
generale.
Nonostante i suoi propositi, agevolati anche dal fatto che
John Legen ed Alicia erano riusciti a modificare, nei giorni precedenti, il
settaggio dei rilevatori di attività psi nella stanza di Kovancic tuttavia non
ottenne nulla, né quella sera né nelle cinque successive. C’era un nucleo nella
mente di Kovancic che lui, nonostante tutti i suoi sforzi, non
riusciva a penetrare.
Con Alicia parlò quindi della possibilità di drogare il generale
ma lei gli ricordò che questi quasi sicuramente
aveva nel suo organismo dei naniti predisposti per ucciderlo
qualora fosse stato drogato ed a lui Kovancic serviva vivo, non morto.
La sera successiva, quella del ventinovesimo giorno, riprovò
quindi con i metodi tradizionali. Per cinque ore consecutive cercò di sfondare
la protezione mentale del generale e più volte gli sembrò che questa stesse per
crollare, ma nonostante tutto essa resse ed a notte inoltrata il gamiliano
dovette ritornare, stanco morto, al suo appartamento senza avere ottenuto
nulla.
La mattina seguente decise però di far disattivare
completamente da Legen gli allarmi antipsi nell’alloggio di Kovancic; era una
cosa rischiosa da farsi ma d’altronde, si disse, non gli rimaneva altra scelta.
Alle diciannove stava per andare, come al solito, dal
generale quando questi però lo chiamò.
- Mi dispiace maggiore - gli disse - ma è tutto il giorno che
ho un terribile mal di testa, credo che sia meglio rimandare a domani la nostra
partita.
- Va bene, signore - replicò Forman, che tuttavia si
precipitò, appena chiusa, la comunicazione fuori dalla stanza.
- Chi è? - chiese il generale quando il maggiore suonò il
campanello della sua stanza.
- Sono Forman, signore.
- Cosa diavolo fa qui maggiore - esordì bruscamente Kovancic
aprendo la porta - Non avevamo rinviato la partita ?
- Oh, si signore, ma mi sono ricordato di avere nella mia
stanza delle pastiglie cardusiane che sono veramente miracolose contro il mal
di testa.
- Lei è un vero amico maggiore - replicò Kovancic facendolo
entrare.
Una volta che si fu chiusa la porta alle sue spalle Forman
attaccò la mente del colonnello con tutta la sua energia. La barriera mentale
in pochi minuti cadde ma ciò che proteggeva non era affatto ciò che Forman si
aspettava.
Dannazione!
Kovancic non conosce il codice, è soltanto un fantoccio!. L’uomo chiave è
Estevel!
Mollando la presa sulla mente di Kovancic, che cadde al suolo
svenuto, si precipitò quindi verso la stanza di Estevel.
- Chi è?- chiese questi in risposta allo squillo del
campanello.
- Sono Forman, signore, si tratta di un’emergenza.
- Un’emergenza ? - domandò aprendo la porta l’ufficiale
litoriano. Subito Forman lo aggredì spingendolo nella stanza e poi attaccandolo
mentalmente con tutta l’energia di cui disponeva. Immediatamente in tutta la
base squillarono gli allarmi antipsi.
Estevel tuttavia si rivelò un avversario ben diverso da
quello che si attendeva; anche lui infatti era un metapsichico operante. Ben
presto Forman si rese conto che i loro poteri si equivalevano, e che la
conseguente situazione di stallo tornava a tutto vantaggio del suo avversario
che poteva limitarsi ad aspettare l’arrivo delle guardie.
In quell’istante tuttavia un’incredibile corrente di energia
mentale, proveniente da Horlock, si unì alla sua ed in pochi secondi, mentre la
mente di Estevel si spegneva per sempre, riuscirono ad ottenere l’informazione
tanto a lungo cercata.
Nell’uscire dalla stanza il gamiliano incontrò un gruppo di
militari che stavano venendo nella sua direzione.
- Hanno ucciso Estevel! - gridò loro - è stato un uomo. E’
scappato in quella direzione.
Non appena i soldati si furono allontanati si diresse in
tutta fretta verso la prigione. Una volta arrivato stordì subito le guardie con
un attacco mentale, dopodiché aprì la cella del ribelle, e digitò il codice che
avrebbe disattivato il mortale microchip.
- Spero che lei abbia un piano per scappare di qui?- esordì
Horlock non appena arrivato.
- Certo che ce l’ho - replicò Forman chiedendosi al contempo
come avesse fatto il ribelle ad aiutarlo poco prima nonostante il microchip
fosse stato ancora attivo- ma se vogliamo metterlo in atto dobbiamo sbrigarci
ad arrivare all’hangar.
Vi arrivarono in dieci minuti e ad attenderli vi erano John
Legen ed Alicia.
- Il motore Vojsov, è montato signore - gli disse Legen
venendogli incontro- e tutte le altre navicelle sono fuori uso.
- Molto ben Legen- replicò Forman prendendolo per un braccio
- ma ora andiamo.
In quell’istante però alcuni soldati sbucarono dalla porta
dell’hangar e cominciarono a sparare. Un lampo verde colse Legen alla schiena.
Forman si fermò un istante a controllare le sue condizioni ma subito si accorse
che erano disperate.
- Il pulsante rosso, signore - furono le ultime parole
pronunciate dall’ingegnere. Con rincrescimento Forman abbandonò il cadavere
dell’amico e schivando un nugolo di laser verdi ed azzurri riuscì a salire
sulla piccola navicella preparata da Legen.
- Va bene - gli chiese Alicia alcuni minuti dopo il decollo -
Siano riusciti a scappare dalla Nautilus, ma adesso come faremo a superare le
difese della Horizons e poi quelle della Infinity all’altro lato del tunnel?
Fin lì Forman era sempre rimasto sul vago a proposito del
modo in cui sarebbero arrivati a Gamil una volta lasciata la stazione ma
adesso, si rese conto, era costretto a dire si a lei che a Horlock qualcosa al
riguardo.
- Sulla Horizons - rispose- c’è un nostro agente che dovrebbe
mettere fuori uso il computer del
planetoide in corrispondenza del nostro passaggio. Per quanto riguarda invece
la Infinity, beh ... se tutto va come deve andare non ci creerà alcun problema.
Sul planetoide artificiale New Horizons la dottoressa Elaine
Williams aveva più volte disperato di riuscire ad elaborare un virus in grado
di mettere fuori uso il computer della base. Questo infatti era stato
potenziato dal collegamento con alcuni cervelli biologici, possibilità che fin
ad allora, a quanto sapeva la Williams, era stata studiata solo dal punto di
vista teorico ma mai messa in pratica. Per sua fortuna alla fine scoprì un
errore nell’interlacciamento tra il
computer e le menti biologiche.
Dieci ore prima del passaggio della navetta di Forman
nello spazio protetto dalla stazione, proprio mentre questa
veniva per la prima volta intercettata dal
radar della base e le prime navi stavano per decollare per le manovre di
intercettazione, la Williams inserì il codice che avrebbe liberato il micidiale
virus da lei elaborato. In pochi istanti l’intero sistema si bloccò
completamente lasciando in funzione solo il supporto vitale.
Con un sospiro di sollievo Forman constatò che la dottoressa
Williams era riuscita nel suo scopo. La Horizons era infatti completamente buia
e silenziosa e nessuna nave era uscita per intercettarli.
Ora tutto dipendeva dal motore Vojsov. Se all’uscita del
tunnel si fossero ritrovati dinanzi all’Infinity infatti tutti gli sforzi fatti
fino ad allora sarebbero stati inutili. Il motore Vojsov, così chiamato in
onore del suo inventore, avrebbe però - o almeno lo sperava - compiuto il
miracolo di cui aveva bisogno.
Il motore, almeno in teoria, era in grado di influenzare le
strutture dei tunnel spazio-temporali in modo da modificarne lo sbocco di
uscita. Questa straordinaria invenzione, naturalmente, era risultata totalmente inutile per la
Repubblica gamiliana che non disponeva di un ingresso ad un tunnel spazio
temporale. Il governo gamiliano aveva dunque deciso di mantenere il segreto più
assoluto sull’esistenza del motore, con la speranza che i litoriani o i
veghiani non riuscissero mai a costruirne uno simile. A quanto Forman sapeva
comunque, il motore era stato sperimentato una sola volta, con successo, nel
tunnel che univa la Terra al loro quadrante.
Funzionerà
anche con questo tunnel? si chiese con timore mentre l’entrata verdastra del
tunnel si faceva sempre più vicina. Beh
ormai è troppo tardi per avere questi dubbi, si disse mentre premeva il
pulsante rosso di cui aveva parlato Legen. Prendendo per mano Alicia attese poi
con calma l’ingresso nel tunnel.
Ventisei ore più tardi, nel sistema di Gamil, all’improvviso,
comparve una piccola navetta. Era un evento straordinario ma di cui nessuno
naturalmente avrebbe mai sentito parlare. I vertici militare della Repubblica
comunque erano preparati all’evento e fecero subito partire due grossi
incrociatori, in orbita intorno al gigante gassoso Gamil IV, per
l’intercettamento della navetta.
Forman, ancora scosso per il viaggio, che era stato ben più
allucinante del precedente, inviò subito un messaggio prestabilito ai due
incrociatori.
- Va tutto bene ?- gli chiese preoccupata Alicia.
Lui rimase per un attimo pensieroso. Guardo il gigante che
aveva liberato chiedendosi come sarebbe stato utilizzato dai suoi superiori e
subito dopo pensò a quali rischi avrebbe corso la Repubblica il giorno in cui i
litoriani avessero scoperto a loro volta il motore Vojsov. Per quei problemi
però si disse vi sarebbero stati altri giorni, in questo voleva solo gioire per
il buon esito della missione.
Abbracciò quindi Alicia e dopo averla baciata finalmente le
rispose.
- Si, va tutto bene, siamo a casa. A Gamil!